Regia di Peter Jackson vedi scheda film
C’è sempre una terra di mezzo nel destino di Peter Jackson. E in quella terra c’è un’altra creatura del cielo, volata via. Violata e fatta a pezzi dal buon vicino. In quella terra di mezzo c’è un faro che spara il suo raggio di luce a illuminare le nefandezze del mondo, Sauron e il suo occhio malvagio. Susie Salmon sospesa nel vuoto aggrappata al ricordo dei vivi, comunica attraverso una fiamma che illumina al di là del velo nero della notte e veglia sugli amabili resti dei suoi cari mentre ricompongono i cocci della loro vita e cercano la verità, il ricordo che la tiene ancorata al Limbo. Veglia sul suo assassino meditando vendetta ma il Fato è molto più potente della disperazione di una bambina e tutto ha un suo corso naturale. Destino, poesia e pietà si avviluppano a simboli e rimandi scanditi nell’ ipnotico oscillare di un pendolo tra i due mondi lasciando nell’uno un po’ dello spirito dell’altro. Sopra e sotto, il mondo reale dei vialetti autunnali e delle villette ordinate è edificato su un sottosuolo marcio che nasconde i mostruosi segreti delle persone perbene. C’è un continuo senso dello sprofondare in Amabili Resti, la terra inghiotte e conserva la memoria, nasconde le prove. Il luogo in cui si trova Susie è mutevole come le sue emozioni, un luogo fiabesco fatto a immagine e somiglianza della fantasia di una ingenua bambina di 14 anni.
Peter Jackson vola altissimo in regia, il suo talento visionario forgiato nella carne dell’horror regala momenti di grande tensione in contesti di pura astrazione visiva incisi in una fotografia di spettacolare bellezza tutta giocata sulla dicotomia luce/ombra, ragione/follia dal fortissimo valore simbolico.
Nonostante questo il film non è compatto, affatto. Come sono efficaci i passaggi più cupi del film nei quali la percezione del reale si perde in un senso di smarrimento metafisico, proprio la parte irreale ovvero il Limbo mostra la corda di una realizzazione dozzinale e tutto sommato più visiva che visionaria. La poesia non è filmabile. Il senso del tragico è continuamente stemperato in languori estetizzanti o in incongrui siparietti leggeri, quasi si avesse il pudore di non far commuovere del tutto, spaventare del tutto, divertire del tutto. Il procedere a strappi, alternando ottimi momenti di cinema a cadute di ritmo e senso, è il limite di un film che poteva essere veramente un capolavoro e che invece si rivela un oggetto senza un’anima ben precisa, indecisa se procedere sulla strada della risoluzione del caso dell’omicidio della piccola Susie piuttosto che raccontare la storia degli amabili resti annegati nel dolore. Estratti dall’omonimo bestseller di Alice Sebold spiccano gli attori che rattoppano una sceneggiatura pasticciata. Su tutti Stanley Tucci candidato all’Oscar, Susan Sarandon che omaggia la sua età dando vita alla nonna alcolista snob e la piccola irlandese Saoirse Ronan che interpreta Susie, splendida e ripetutamente omaggiata da languidi primi piani. Musiche originali di Brian Eno e su questo non si discute. Produce Spielberg e allora qualche sospetto di ingerenze lenitive della nota, brutale creatività dark di Jackson è più che lecito. A pensare male si fa peccato ma………..
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