Regia di Peter Jackson vedi scheda film
Nel 2009 Peter Jackson tornò al cinema abbandonando le grandi produzioni Hollywoodiane cariche di effetti speciali e azione. Dimenticandosi, almeno per una volta, delle lotte fra Hobbit ed Elfi, salvo poi riprenderle con la nuova trilogia dedicata al mondo partorito da J. R. R. Tolkien, ma non allontanandosi del tutto dal lato più onirico di una narrazione che affonda a piene mani nel romanzo omonimo di Alice Sebold, edito in Italia dalle Edizioni E/O. Fin da subito lo spettatore sa cosa sia accaduto alla giovane vittima, venendo proiettato in un'analessi con tanto di voce fuori campo, nel quale l’anima di Susan, interpretata dall'allora sedicenne Saoirse Ronan, rimane per lunghi tratti imprigionata in un limbo fra la vita e la morte. Incapace di decidere se restare legata al desiderio di vendetta o a quello di vedere i propri cari finalmente consapevoli della sua scomparsa.
Al tempo stesso si snoda una trama thriller nella quale Stanley Tucci seppe offrire una prova monumentale. Un Tucci per il quale la candidatura Oscar, quale miglior attore non protagonista, non seppe placare il ricordo di un’esperienza ben poco edificante. Di recente l’attore Italo – Americano ha voluto ribadire sia quanto conservi uno splendido ricordo del film, ma anche di quanto il suo ruolo fosse orribile e disgustoso. Al netto delle critiche l’attore originario dello stato di New York seppe fare dell’accuratezza dei particolari il marchio di fabbrica di George Harvey, ovvero il vicino di casa che tutti vorrebbero avere. Silenzioso e discreto quanto basta e capace di non destare quasi mai alcun sospetto.
Nel complesso Jackson riuscì nell’impresa di mischiare due generi fra loro ben differenti; fantasy e thriller, mixandoli sapientemente e gettando lo spettatore in un vortice di suspense e terrore. Un vortice nel quale un cast stellare: da Susan Sarandon, nel ruolo di una nonna moderna e tabagista, a Mark Wahlberg, paterno e rassicurante, passando per una Rachel Weisz disperata e materna, sa muoversi diligentemente.
Il risultato finale è un film inclassificabile in termini di genere ma reso ancor più notevole dall’indubbia capacità di regista e collaboratori alla sceneggiatura di sintetizzare le oltre 400 pagine del romanzo della Sebold in una pellicola in grado di mantenere accesa l’attenzione dello spettatore per le oltre due ore di durata.
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