Regia di Sylvester Stallone vedi scheda film
"The boys are back in town", come dice la celebre canzone dei Thin Lizzy durante i titoli di coda, per il punto di non ritorno del cinema action degli anni Duemila. Stallone, ormai conscio del suo status di intoccabile icona popolare (su cui probabilmente in pochi avrebbero scommesso), riunisce attorno a sè un dream team di fegatacci e realizza il suo sentito omaggio a un certo tipo di cinema analogico, fisico e concreto, di cui si riconosce indiscusso paladino e che oggi, nell'era del digitale esasperato e del 3D, rischia di scomparire. In perfetto equilibrio fra violenza pulp e divertente smargiassate old syle, il film è nello stesso tempo l'attualizzazione e l'estremizzazione di tutte le sporche dozzine e tutti i magnifici sette del passato, quando lo spettacolo aveva la stessa importanza dell'approfondimento psicologico dei personaggi: quest'ultimo punto, in particolare, l'autore di "John Rambo" dimostra di conoscerlo maledettamente bene, riuscendo ad abbozzare con poche battute una galleria di facce e caratteri (memorabile in tal senso la maschera ormai irrimediabilmente grottesca di Mickey Rourke) che rimandano direttamente al Sam Peckinpah de "Il mucchio selvaggio". L'ex Rocky Balboa, classe 1946, ha dichiarato che la lavorazione è stata la più faticosa di tutta la sua carriera (nella sequenza dello scontro con Steve Austin, si è rotto due vertebre rischiando seriamente di rimanere paralizzato): il cinema è un lavoro sporco, ma qualcuno deve pur farlo. Esaltanti i camei di Bruce Willis e del "Governator" Arnold Schwarzenegger. Nella colonna sonora di Brian Tyler, furoreggiano i vecchi pezzi di Creedence Clearwater Revival e Mountain.
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