Regia di Ermanno Olmi vedi scheda film
Gli si possono perdonare certi didascalismi, certa monotonia e certa (nobile) retorica nella prima parte. Difetti, questi, pienamente riscattati da due e tre pagine di altissimo cinema olmiano. La conserva dei semi fra i ghiacci della Norvegia, accarezzata da una tenera filastrocca infantile; il racconto della vita di un'eremita friulano (gli interni della sua capanna, testimoni di una vita umile e onesta, fanno venire il groppo in gola e riportano con decisione a diversi intensi momenti nella carriera del regista lombardo); ma soprattutto i 20 minuti finali, senza parole: straordinaria elegia della vita contadina, che ritrae la simbiosi fra Uomo e Natura con un pathos sommesso degno di Flaherty e Dovzenko, ma anche dello stesso Olmi ("L'Albero Degli Zoccoli"), come oggi pochi altri sanno fare con tanto ispirata vena poetica, forse solo Malick, non certo il pletorico Penn di "Into The Wild", talmente incentrato sull'ostinato individualismo del suo protagonista da togliere respiro alle immagini di Madre Natura. Olmi si conferma il massimo regista italiano vivente.
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