Regia di Spike Jonze vedi scheda film
Max è un bambino solitario, che in un mondo fatto di praticità non riesce ad esprimere tutta la sua fantasia. Una sera, dopo un litigio con la madre, scappa e finisce per diventare il demiurgo dell’immaginario “paese delle creature selvagge” che amministra con la creatività che è propria degli infanti e la demagogia di un politico navigato...
Tantissima fantasia, ma in fondo soltanto quella. È sintetizzabile in questo modo l’ultimo lavoro di Spike Jonze, che così come per il libro da cui è tratto (il classico americano per bambini “Nel paese dei mostri selvaggi” di Sendak) è un concentrato di immaginazione e divertimento. Il trait d’union è senza dubbio l’originalità, a partire dall’insolita trama, basata su di un plot semplicissimo e soprattutto con un intreccio imprevedibilmente privo di qualsivoglia snodo narrativo che comporti sostanziali cambi di registro. Dall’inizio alla fine, tutto ruota attorno alla metafora del bambino che personifica nella sua mente gli elementi della realtà, attraverso i quali capire e far capire il senso della vita.
Più che un film, una favola messa in immagini senza curarsi minimamente di quelli che sono i cliché classici di una sceneggiatura cinematografica: poco più di novanta minuti di sola creatività. Il background grottesco e ricco di nonsense che aveva caratterizzato i primi lavori di Jonze, per quanto qui maggiormente legittimato dall’escamotage dell’ambientazione fanciullesca, mostra una capacità espressiva fiacca. L’operazione richiama un bel po’ di letteratura e di cinematografia di genere (tra cui “La storia infinita”, “Un giorno tutto questo dolore ti sarà utile”, “Le cronache di Narnia”), tuttavia la forza del film, che dovrebbe essere rappresentata dalla spiccata, insistita, pregnante metafora sulla crescita e la presa di coscienza di se stessi, non è però da sola sufficiente a fare un buon film. Sono lontani insomma i tempi di “Essere John Malkovich” o “Il ladro di orchidee”, in cui l’assurdo del quotidiano era trattato in maniera egregia dal regista.
Tecnicamente si segnala una fotografia naturalissima, al punto che l’oscurità è filmata quasi in maniera incomprensibile; il tutto coerentemente con lo stile di ripresa: senza fronzoli, convinti forse che potesse essere sufficiente una certa intensità del racconto. Originalissimi i titoli di testa, scarabocchiati dal futuro protagonista del film. Notevole la colonna sonora. Poco altro da segnalare.
Seppur nel grigiore generale di un film poco riuscito, non si può negare come Jonze sia uno dei pochi registi di carattere, originali e realmente innovatori dell’Occidente cinematografico, uno dei pochi per cui vale ancora il detto “potere alla fantasia!”.
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