Regia di Roberto Rossellini vedi scheda film
Nel 1948 Roberto Rossellini cominciò le riprese de LA MACCHINA AMMAZZACATTIVI a Maiori paese della costa amalfitana (a lui caro) con la popolazione locale come co-protagonista di una favola moderna sulla superstizione e sul dualismo bene/male. La lavorazione venne interrotta svariate volte per mancanza di soldi e il regista romano lo portò a termine nel 1952 dopo aver girato due capolavori post neorealisti come STROMBOLI e FRANCESCO GIULLARE DI DIO. Un americano ex sergente dell’esercito di liberazione torna in Italia con famiglia al seguito con l’intenzione di fare affari sulla costa. Nel tragitto viene accompagnato da un abitante del posto che gli illustra la miniera d’oro dove costruire hotel e altre attrattive turistiche. Un omino con le sembianze del patrono del paese Sant’Andrea si materializza davanti alla macchina degli americani facendosi investire ma è un’illusione, poco dopo appare fugacemente durante la festa del santo. Nella notte fa visita a Celestino, il fotografo del paese anima candida e semplice. Il vecchietto chiede alloggio perché le locande sono tutte occupate e lo ottiene facilmente, intavola un discorso ambiguo sui buoni che dovrebbero ammazzare i cattivi. Per esempio Agostino la guardia è un prepotente che abusa della sua divisa e alla processione ha cacciato Celestino con la sua macchina fotografica. L’uomo prende una fotografia del soggetto, la fa fotografare da Celestino e all’istante Agostino muore nella posa della foto. Il vecchietto sparisce e il fotografo crede di aver ospitato Sant’Andrea…che continua a fare miracoli: le barche si riempiono di pesce, dal Ministero dei Lavori Pubblici giungono all’amministrazione comunale undici milioni da utilizzare per il bene comune. Il sindaco e i suoi litigiosi consiglieri si dividono su come e su cosa investire il finanziamento. Agostino perplesso se trattasi di un caso o se lui ha veramente il potere di uccidere con la sua macchina fotografica prova l’esperimento su un asino…”Fatto! – Fatto non è la parola giusta semmai il contrario: disfare, distruggere i cattivi!”, come lo aveva istruito il vecchio ometto. Cosicché Celestino convinto di perseguire il bene “uccide” i cattivi come la ricca e avara donna Amalia e gli amministratori che vorrebbero spartirsi l’eredità sottraendola ai tre poveri del paese indicati dal testamento. Persino il sindaco dopo avergli spiegato che “l’economia è una scienza…questa scienza dimostra che il capitale frazionato si disperde e si annulla…”. Le morti si succedono vorticosamente e solo il dottore scopre Celestino all’opera, un colpo in testa e cade ed ecco riapparire il vecchietto che non è altro che un povero diavolo di nome Farfanicchio inviato sulla Terra.
“Non sei Sant’Andrea, sei il demonio…Potevo essere un santo se ti insegnavo a uccidere? – Maledetto, ti distruggerò…Non puoi distruggere niente, io sono già morto – La macchina ti distruggerà – Sono un povero diavolo disgraziato…non mi manderanno più sulla Terra, sei troppo vecchio Farfanicchio mi dicevano e io che credevo tanto in questa mia invenzione, speravo di distruggere tutto il paese…”.
Celestino chiede a Farfanicchio di non tornare all’inferno e di far resuscitare le vittime dopo avergli insegnato il segno della croce. Lui il povero diavolo perderà l’immortalità e si farà passare per un vecchio parente, da parte di Caino. La morale nell’epilogo finale dice:”Coltiva il bene senza esagerare, rifuggi il male se ti vuoi salvare, non t’affrettare troppo se vuoi giudicare, pensaci tre volte prima di punire”.
Da un soggetto di Eduardo De Filippo l’autore di PAISA’ firma una commedia favola gustosa e piacevole in cui non mancano i riferimenti politici sull’Italia del dopoguerra (tra gli sceneggiatori figura anche l’acuto Sergio Amidei). Le distanze sociali tra poveri e ricchi, i primi vivono in basso e i secondi in alto e bisogna fare le innumerevoli scale di Maiori per arrivarci. Gli americani ricchi, belli e generosi devono peregrinare da una casa all’altra come degli sfollati per trovare alloggio sicuro. Buffetti ironici sui fascisti riciclati che rimpiangono o che pensano di essere ancora nel ventennio. Gli amministratori locali avidi ed egoisti che pensano fin da allora a fare affari, brigare e speculare. Le donne che si ribellano a parole alla loro condizione di povertà contro i ricchi strafottenti e poi finiscono col prendersela con la giovane americana “svergognata” perché veste in short e manda in visibilio gli uomini. Il dottore riassume in una frase la buona fede popolare e un pensiero del film:”Beato te Celestino credi di conoscere il bene e il male e io invece dopo tanti anni non l’ho ancora capito, camminano sempre uno vicino all’altro e così è facile confonderli…”. La ricerca espressiva di Rossellini con LA MACCHINA AMMAZZACATTIVI concepisce stavolta una sorta di “fantaneorealismo” che anticipa MIRACOLO A MILANO (uscito nel ’51) di De Sica e Zavattini e che con lo strumento della favola e della commedia dell’arte coglie nel segno ancora oggi.
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