Regia di Lars von Trier vedi scheda film
Antichrist è un film del 2009, diretto dal regista danese Lars Von Trier, primo capitolo di una trilogia ideale sulla depressione, a cui faranno seguito “Melancholia” (2011) e “Nymphomaniac” (2014).
La pellicola in effetti parla del dolore, della depressione causata dalla perdita di un figlio. Ma descriverlo in questo modo sarebbe assolutamente semplicistico. Il film è un vero e proprio capolavoro, che riesce a portare sullo schermo il dolore del trauma, la paura e l’ansia, come pochi registi hanno saputo fare, e che ci fa sprofondare, assieme ai suoi protagonisti, in un vortice depressivo-allucinatorio da cui sarà difficile uscire.
Il tutto si apre con un prologo in bianco e nero e in slow-motion che già di per sé, per forza concettuale, ma anche visiva, è un piccolo gioiello cinematografico:I due protagonisti stanno avendo un rapporto sessuale sulle note del “Lascia ch’io pianga” di Handel, mentre il loro figlio precipita tragicamente dalla finestra.
Già in questa sequenza iniziale vengono magistralmente fusi, grazie anche alla musica che amalgama il tutto (e il cui testo non è del tutto estraneo al tema dell’opera), il piacere e il dolore. I due sentimenti, solo esteriormente contrastanti, danzano assieme e lo faranno per tutta la lunghezza del film. Una volta sarà il dolore a chiamare a sé il piacere (l’atto sessuale viene ricercato nei momenti di massima ansia e frustrazione), un’altra sarà il piacere a non poter fare a meno del dolore (“Picchiami!”).
Qui lo sperma, simbolo dell’erotismo, diviene sangue, simbolo della pena. Qui nulla è più isolato, ma si va alla ricerca di una radice comune del tutto.
Tutte le vicende successive sono solo la conseguenza di questo prologo iniziale. Il marito, psicologo, decide di sottrarre la moglie (caduta in una forte depressione) dalle cure ospedaliere, per curarla lui stesso tramite la psicanalisi.
Per permetterle di affrontare le sue paure, si reca assieme a lei in una casa di montagna immersa nella foresta di Eden (nome scelto qui più che intelligentemente), sulla quale, per avvenimenti precedenti, si basa la paura della moglie.
Nel bosco si snoda tutta la spirale depressiva che avvolge i protagonisti. Se inizialmente il comportamento di lui è calmo e scientifico, in contrapposizione a quello disperato della moglie, ora inizia ad essere vittima lui stesso di visioni che rimandano alla perdita del figlio e legate al mondo naturale. Pian piano le paure della consorte investono anche lui.
Il panico che affolla la mente dei protagonisti è fondato su una concezione, che si fa sempre più salda nella mente di lei, di una malvagità intriseca alla natura. “La natura è la chiesa di Satana”, è il Male disinteressato, che permette la sofferenza e il dolore. “Tutto ciò che mi sembrava bellissimo era probabilmente orrendo. Ora riesco a sentire quel che non riuscivo a sentire prima: il pianto di tutte le cose, che sono destinate a morire.” E’ una natura leopardiana, distante. Eden diventa l’inferno, dominato dalla sofferenza. Emblematica la scena della volpe, che dilaniando se stessa, compare al portagonista e afferma “Il Caos regna!” Il Caos è l’antitesi, l’esatto opposto dell’ordine e della causalità divina. E’ disordine e smarrimento, quindi demonio.
La natura maligna qui si esprime attraverso le figure del Cervo, della Volpe e del Corvo, allegorie del dolore, della pena e della disperazione, che si impongono con violenza (non soltanto mentale, ma anche fisica) nella mente dei protagonisti, che li portano a compiere azioni perverse e macabre.
Ma il ragionamento di Von Trier non si ferma qui. L’essere umano è anch’esso parte della natura (“La natura non è solo all’esterno, ma anche dentro”), quindi è anch’esso parte del Male. La natura, e dunque il Caos infernale, non è vista soltanto come ambiente esterno ma come Spirito della Terra (secondo il termine goethiano), come creatività, forza dinamica e contraddittoria che spinge all’Azione e che guida gli uomini. Non è l’uomo a controllare il proprio corpo, ma è la natura a farlo.
La presa di coscienza di ciò porta la protagonista a sentirsi parte della tragedia che l’ha investita. Il reale si mischia all’onirico e la malvagità vista nella natura finisce per essere nient’altro che un esteriorizzazione psicologica della malvagità sua propria.Sulla punta della piramide della paure della protagonista c’è la paura di se stessa, della propria malignità, che emerge e che la porta alla mutilazione del suo proprio corpo (e qui il dolore si mescolerà nuovamente al piacere), quale ventre del Male.
Il dolore è anche quello del regista, che stava attraversando, in quel periodo, una profonda fase depressiva, che si ritrova nella visione negativa e inquietante della natura e dell’altro. Ed è rappresentato magnificamente, anche attraverso l’uso, non raro di scene di violenza o di sesso esplicite, che ci fanno addentrare meglio nel disgusto e nella perversione del film.
Antichrist è certamente uno dei migliori film di Von Trier, e la scelta degli attori è più che mai azzeccata, con un Willem Dafoe davvero inquietante e una Charlotte Gainsbourg, che per questa pellicola vinse il premio come migliore attrice al festival di Cannes.
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