Regia di Lars von Trier vedi scheda film
Ovviamente il problema non è sapere se Lars von Trier sia misogino o se ritenga Antichrist un film “strindberghiano”. Sarebbe come abboccare all’amo della promozione o del ricatto intellettuale, elementi chiave dell’affermazione del regista danese. Una cosa è praticare la discontinuità della forma, ossia abdicare al cinema noto per rinnovare le possibilità del linguaggio, ben altra è ricorrere all’artificio presumendo che esso da solo possa bastare per restituirci lo stupore e, soprattutto, il timore e il tremore di quanto non conosciamo. Sin dai suoi primi passi von Trier non ha fatto altro che imporre il proprio formalismo spacciandolo come discorso e (anti)morale. Il gioco, come sappiamo, ha funzionato. Antichrist, in questo senso, è davvero il film definitivo del danese. Considerato poi che il nostro ci tiene sempre a rivelarci la sua opinione sul mondo, possiamo concludere senza timore di sorta che non solo il danese non ha nulla da dire in Antichrist, ma che cotanto risultato getta (almeno dovrebbe…) una luce - questa sì sinistra - anche sul resto della sua tanto osannata opera. E poi bisogna chiarire che tra caos e confusione corre una robusta linea di distinzione che fa tutta la differenza del mondo. D’altronde che la natura non fosse benigna si sapeva già (e non basta citare Bosch). Pertanto chiudere due ottimi attori come Dafoe e la Gainsbourg, persi in un legnoso delirio tutto di testa in uno chalet come quello di La casa di Raimi (con tanto di ritrovamento del Necronomicon di turno), fargli cercare le verità nascoste della loro relazione mentre si straziano in amplessi memori di L’impero dei sensi prima che lei impazzisca come la Kathy Bates di Misery non deve morire, produce solo un insieme di soluzioni drammaturgicamente inerti. Ossessionato dal male, von Trier lo coniuga in forme preconciliari confondendo analisi, igienismo e sesso (Oltretevere si sorride…). In queste Scene da un matrimonio di von Trier non vive altro che un compiaciuto meccanismo autoreferenziale. Mentre sogna di toccare impulsi rimossi, il regista arretra di fronte alla possibilità di dire, preferendo celarsi dietro l’iperbole (pubblicitaria) dello scandalo. Dimenticando però che lo scandalo si dà solo quando la parola si fa carico di qualcosa che non è stato ancora detto (o visto). Ossia qualcosa di genuinamente perverso che esula per definizione dai luoghi comuni restituendoci al caos e non alla confusione collaborazionista di un intellettuale in cerca di motivazioni per giustificare la sua impotenza creativa. Antichrist? Anticinema.
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