Regia di Lars von Trier vedi scheda film
E’ probabilmente il film più compatto e avvincente di Lars Von Trier. Il più lucido, il più lineare, il più bello visivamente. E’ semplicemente un gran bell’horror, “fatto bene”, calibrato al millesimo nella progressione drammaturgica e nella gestione della suspence. E’ dedicato a Tarkovskij, col quale ha certamente alcune cose da spartire; ma in verità, a mio parere, parrebbe la risposta a distanza allo “Shining” di Kubrick. Trenta anni prima, il grande genio newyorkese operava la sua unica e memorabile incursione in un genere stigmatizzato come “minore”, l’horror appunto, ossia quella branca del cinema fantastico specializzata nell’interrogazione del Male e delle sue svariate manifestazioni. La stessa cosa, con “Antichrist”, ha fatto il danese, per alcuni un genio, per altri un eccentrico discontinuo, per altri ancora un bluff nemmeno lontanamente paragonabile a Kubrick: in ogni caso, alla sua maniera spesso provocatoria e irrisolta, un “autore”. Questo film richiama “Shining” per una varietà di elementi, formali e contenutistici. C’è la sapiente e spettacolare alternanza di dialoghi ed accensioni visionarie (scandite da un sound-score effettistico ed onomatopeico, proprio come nel capolavoro kubrickiano); c’è la discesa dei personaggi verso la follia; c’è la progressiva rivelazione di un Male atavico, che si impossessa di anime e corpi, manifestandosi anche sotto forma di progressive visioni allegoriche (il cerbiatto, il lupo, la cornacchia); c’è un finale straniato in cui si materializzano i fantasmi del passato (non più il “predecessore” di Jack Torrance, ma le centinaia di “streghe” bruciate vive nel 500: quindi non più chi il Male lo fece, ma chi invece lo subì); persino alcuni zoom paiono venire dritti dalla mdp del buon Stanley…Poi certamente Trier ci mette del suo: c’è la tarkovskijana immersione in una Natura “chiesa di Satana” e “regno del caos” (il russo viene citato esplicitamente nell’improvviso acquazzone; mentre Eden può essere salomonicamente definito come metà Overlook Hotel e metà Zona), c’è la sapiente adozione di un’estetica “torture porn” (un paio di sequenze battono il 90% degli horror contemporanei in quanto a raccapriccio, fra primissimi piani di carogne di passero e genitali mutilati); c’è la consapevolezza di un meccanismo già svelato in partenza (il film è in forma di psicoterapia, e gli interventi verbali del marito/dottore illustrano il contenuto latente delle immagini partorite dalla mente della moglie). E’ un film dal fascino gotico, nordico, come certe lugubri leggende di quei posti: un film che si nutre di un immaginario consolidato da diversa letteratura horror e musica black metal. E’ l’horror satanico che tanti modesti registi vorrebbero fare, senza averne il talento necessario: doveva riuscirci proprio colui che aveva in parte fallito come autore intransigente camaleontico, ora eversivo (“Idioti”) ora bizzarro (“Dancer in the dark”) ora teorico (“Dogville”, “Il grande capo”)! Paradossi della Settima Musa…Il suggestivo formalismo di un’opera che, fra i suoi tanti pregi, vanta anche una fotografia dalla tavolozza degna di certe pitture romantiche, è ribadito nel clamoroso incipit sorrentiniano, tutto al ralenti, in un pomposo bianco/nero da spot di gioielleria, con enfatico accompagnamento lirico: momento di premeditato anti-cinema, fra il kitsch e il sublime, che tornerà specularmente nell’excipit “selvatico” e, gratuitamente, nel sogno della pioggia di ghiande. Il discorso, fin troppo semplice e lampante, sulla presenza del Male nella Natura, del lutto privato assimilabile al dolore di tutto il Creato, della colpa come compagna inseparabile di qualsiasi esistenza, del binomio sesso/morte, dell’ambiguità vittima/carnefice si intreccia all’insanabile scontro Uomo/Donna, dove al primo spetta la razionalità (ma per questo anche l’ottusità, la cecità…del resto, anche Jack Torrance impazzì poiché non possedeva la “luccicanza” che gli avrebbe permesso di tenere gli “occhi spalancati” sul Male incombente) e alla seconda l’istinto, la perversa simbiosi col Tutto, la mimetizzazione nel verde della Natura, l’abbandono alle forze del Male. E quindi è giusto dire che, per Trier, vale l’equazione Donna=Male? Trier è dunque misogino? Può darsi, ma allora perché, alla fine, è ancora il marito (maschio) l’aguzzino? Perché una Storia che documenta di “caccia alla streghe”, di donne bruciate per il solo fatto di essere donne, di “femminicidi” ante-litteram, ripropone oggi, nel XXI secolo civilizzato di “Antichrist”, lo stesso copione, lo stesso rogo, la stessa “vittoria” del maschio? Quindi la Natura dice una cosa, ma la Storia evidentemente ha preso la direzione opposta. E il futuro cosa ci riserva? L’ultima sequenza è stupendamente ambigua in questo senso: i fantasmi delle “streghe” di ogni epoca circondano il marito assassino nella loro radura selvaggia, ma non ci è dato sapere se lo linceranno a loro volta o se saranno condannate ancora una volta a vagare faticosamente, a testa bassa, per gli impervi sentieri di un mondo che, contro-natura, le vuole perennemente vittime della “ragione” maschile. Filosofia spicciola, sublimata in uno spettacolo innegabile, ma non per questo accomodante: è un Trier limpido come in nessun’altra occasione, eppure ambiguo, aperto verso lo spettatore e la sua sensibilità interpretativa. Per il duo di interpreti, infine, non ci sono abbastanza superlativi.
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Minisaggio molto istruttivo e lucidissimo su un film così impegnativo. Il parallelo tra Antichrist e Shining mi colpisce in particolar modo perchè, pur non essendo arrivata a compararli in modo così razionale, avevo istintivamente notato un’analogia ovvero il modo indiretto e deduttivo in cui nei due film si rivela che il personaggio è disturbato. Infatti, uno dei passaggi che ho trovato più inquietanti in Antichrist è quando si viene a sapere che il personaggio della Gainsbourg metteva al bambino le scarpe al contrario, scambiando la destra con la sinistra, non è certo una scena truculenta ma è davvero sconvolgente a livello di significato, è da lì che si capisce che qualcosa in lei non andava già prima del lutto. Stessa sensazione provata in Shining quando si scopre che Torrance sta scrivendo da giorni sempre la stessa frase ripetuta ossessivamente: non è una scena violenta nè horror in senso stretto ma è sconvolgente perchè è la prova che lui sta perdendo la ragione. Perdona se si tratta solo di due particolari ma mi hai fatto ricordare di averli associati e ho pensato di potertelo scrivere qui. Un saluto
buonasera a tutti, vi ringrazio per i vostri preziosi contributi...@steno: la bislacca e spiazzante evoluzione della carriera di Trier, fra le altre cose, comporta il curioso effetto collaterale per cui qualcuno ama certi suoi film che invece sono odiati da altri (e viceversa)...chi ama il "pugno nello stomaco" adorerà Idioti; chi preferisce il meta-cinema, andrà in brodo di giuggiole per Dogville o il Grande Capo; chi predilige invece la competenza e la versatilità stilistica, ammirerà Melancholia; chi, come me, ha un debole per certe tematiche ed atmosfere di ambito arcano/esoterico/gotico/nordico e per il cinema visionario, apprezzerà Antichrist etc...E' probabile che la maggior parte dei cinefili abbia almeno un film di Trier che non sopporta e uno che invece ammira: il caso-Trier a 30 anni dall'esordio e a 20 dal Dogma resta ancora un'affascinante/irritante enigma...Sull'incipit, pure io stavo già preparandomi a ghignare, poi però quando vedo il bimbo sereno e beato mentre si getta dalla finestra e la madre che rimane con quell'espressione indefinibile un attimo prima dell'orgasmo, allora ho pensato che fosse evidente che Trier cercasse l'astrazione, il meta-cinema, la programmaticità teorica propria della cosiddetta "arte concettuale"..."Antichrist" mi pare un film lucidissimo nel suo discorso filosofico, mentre "Melancholia" mi è parso un mix irrisolto e presuntuoso di spunti poetici ed estetici, senza prendere una direzione ben definita: un bel pasticcio, insomma...@lore: su Tarkovskij la penso diversamente: secondo me, il cinema del sovietico andava proprio in un'altra direzione: era poesia/scultura in movimento, che prendeva forma in sordina, con un climax che veniva raggiunto con dolcezza, sulla scorta di una impercettibile evoluzione sentimentale...in "Antichrist" è tutto più organico e compatto, i tagli sono bruschi e introducono improvvisi e sintetici/simbolici inserti visionari (una tecnica decisamente più vicina a Kubrick)...sono proprio due idee di forma filmica contrapposte, e non credo sia dovuto al fatto che Trier decreti "l'impossibilità di scolpire il tempo"...piuttosto Tarkovskij è evocato nell'atmosfera, nei singoli momenti, in alcune tematiche...vedi, io ho letto stamattina la tua bella opinione su questo film e la seguente discussione, con ottimi interventi, e ho notato questa tua frase, che riporto: ......."E' cinema terapeutico - il suo fine NON è lo spettatore. E' un cinema di segni, simboli, sensazioni lasciati a degradare, marcire, messi a caso o oscenamente estetizzati. Dunque: serve davvero chiedersi cosa voglia dire questo, cosa voglia dire quest'altro? Secondo me, no. La dialettica, la metafora, nella parte finale di Antichrist, esplode. Rimane lo scontro fra due corpi impazziti. E una regia impazzita, che non può più guidarci, perché non sa più neanche riconoscersi. Tutte quelle donne del finale - un finale risibile, no? Hanno un senso? Chi sono, quelle donne? Significano un fallimento, e nient'altro. Sono un altro orpello, un altro (auto) inganno. Vogliono nascondere quel che fino ad allora era stato fin troppo evidente, forse. Come se Von Trier, resosi conto della propria nudità, abbia cercato un risibile panno, qualcosa per coprirsi. Con Antichrist, provare ad interpretare, secondo me, rimane un'arma a doppio taglio: si rischia di banalizzare qualcosa di enormemente complesso, o di rendere più complesso qualcosa di oscenamente semplice." .......Ecco, io non sono d'accordo. Secondo me tutti quei simboli, quelle metafore, quelle allegorie, la dialettica, la scena finale etc...hanno un senso compiuto, magari anche ambiguo e aperto all'interpretazione, ma non sono affatto espedienti "fallimentari", non sono "panni" con cui coprire risibilmente la nudità dell'autore...Secondo me, in questo film, Trier ha voluto fare sul serio, dimostrando di credere fortemente nella potenza evocativa e catartica delle immagini, anche di quelle più pacchiane (o presunte tali). A me questo film ha coinvolto, esaltato e spaventato come i migliori horror! (tra l'altro, è stata forse la prima volta in vita mia che ho dovuto distogliere lo sguardo dallo schermo più di una volta per il senso di raccapriccio: il cerbiatto col feto penzolante, la carogna di uccello che casca dal ramo secco e viene sbranata, il corvo che non muore, l'infibulazione in primissimo piano!!! sfido chiunque a trovare idee e immagini horror più disgustose di queste!)...quello che voglio dire è che mi è parso un film a suo modo classico, o meglio così puro e definito nella sua plastica post-modernità da possedere il nitore e la potenza espressiva di un classico...@cantagallo: sottoscrivo in pieno il tuo intervento...pensa te che mentre l'ho letto, prima che arrivassi al parallelo con Torrance, avevo pensato esattamente la stessa cosa!!! sono due sequenze che condividono un identico mood di sbigottita ed incredula angoscia per la consapevolezza di una follia pronta a farsi strada in modo violento...Il film, che pure è semplice e lineare nei contenuti, vanta questa ed altre finezze registiche...tra l'altro, e qui mi ricollego al discorso che facevo prima riguardo al "così post-moderno da sembrare classico", ho scoperto una cosa: i vari Three Beggars, i 3 animali simboli di Afflizione, Pena e Disperazione, la frase "Chaos Reigns", la costellazione misteriosa pensavo fossero citazioni realmente presenti in qualche opera letteraria o leggendaria...invece no! (vabbeh, c'è un gioco di ruolo dell'85 che si chiama "Where Chaos Reigns", così ho letto su google, ma credo sia una coincidenza)...quindi Trier ha reinventato un occultismo "verosimile", un sistema di codici, una cultura che pare vera, mentre invece è solo frutto della sua creazione artistica!
Ottima recensione, Ed. Il film l'ho apprezzato solo in parte, né per la presunta misoginia (che in realtà è da estendere alla misantropia, come dice Lorenzo) né per lo stile sfaccettato, ma perché l'espletarsi violento di certe immagini sembrava andasse a costituire quasi un atto masturbatorio preceduto da una lenta attesa che era quella che più mi aveva coinvolto e davvero sconvolto (le sedute della Gainsborough, come anche l'inizio e la scena di sesso sotto l'albero, grandiosa). Le immagini raccapriccianti rischiavano di ridurre il film, appunto, a un horror, cosa che invece secondo me non voleva essere, quantomeno non nella forma più banale e tradizionale. Per te il suo film è quasi classico: secondo me è classicamente post-moderno, classicamente vontrierano, ma è evidente che voglia dare un taglio netto con la tradizione cinematografica. Che poi ci riesca davvero (per me solo in parte) è un altro paio di maniche: sta di fatto che l'osceno rappresentato - sarò insensibile - mi ha sconvolto meno di quanto mi aspettassi, mentre mi ha davvero inquietato quella sequela di immagini più lente e angosciose (compresa quelle delle scarpe citata da @Cantagallo) che poi alla fine volevano arrivare all'apoteosi (anche del disgusto) ma secondo me si sono afflosciate, rimanendo belle soltanto nella tensione (von Trier deve imparare che anche quella può bastare, e arrivare al punto anche più dell'attacco diretto e sanguinolento). Per me è cinema che si amputa da solo, è liberissimo di farlo, ma si deve venire a patti con il passato, e in questo senso condivido con te la distanza generale da Tarkovsky: è evidente che ci sia un'influenza, ma viene (coerentemente) sovvertita! Però il desiderio di rivederlo c'è, fino a prima della fine (che accede a un'inquietudine fisica che si apre e si chiude con se stessa) ero davvero terrorizzato, un senso di inquietudine, quello, che è di contro rimasto anche dopo la visione. L'infibulazione è invece, paradossalmente, passata via..ciao!
Ottima analisi! Leggendola e ripensando al film, ho trovato il parallelismo con Shining, al quale non avevo minimamente pensato, più che azzeccato. Il raggiungimento di Eden, il viaggio verso la follia, proprio come dici tu, sembrano essere una vera e propria ripresa, decisamente estremizzata, del lavoro fatto da Kubrick nel suo capolavoro. Mi ha fatto piacere leggere la tua riflessione (da grande estimatore del buon Lars). Un saluto!
ringrazio anche 8,5 e Husky per i loro interventi...15 anni fa trovavo ridicola la redazione del manifesto del Dogma95, poichè ritenevo castrante il fatto di costringere un regista a seguire un codice di presunta "purezza di sguardo" (dicevo: se adesso pure l'Arte deve seguire dei Dogmi, manco fosse una religione, siamo proprio alla frutta!)...e invece ora, visti anche gli sviluppi contorti dell'estetica di LVT, devo ammettere che dietro agli sberleffi e alle provocazioni, c'è una forte, magari inconsapevole, fede nel cinema e nelle sue infinite potenzialità estetiche/espressive: a fronte di tanto cinema "replicante", standardizzato, omologato, che non si pone domande e non riflette sulla forma, sul linguaggio (e questo vale per Hollywood, ma anche per tanto cinema da festival), è un piacere vedere che c'è ancora qualcuno che è consapevole che una macchina da presa valga quanto un pennello o uno scalpello...saludos!
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