Regia di Lars von Trier vedi scheda film
Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre. Sedute psicoanalitiche che falliscono di fronte alla forza punitiva dell'incubo. Amplessi disperati e primordiali. Graduale perdita dell'umanità. Von Trier realizza un ibrido di proporzioni enormi, sadico e crudele, un inabissamento nella natura morbosa e perversa della sessualità, della vita. Come qualcosa di così primordiale e istintivo possa essere a principio della vita, ecco cosa si chiede il regista danese, che guarda più che mai all'onirico tarkovskijano.
E' un film di discontinuità, nella filmografia di von Trier, ma anche nella rappresentazione della sessualità nella storia del cinema. Per il cinema di von Trier è imperdibile questo nuovo punto di vista, che alterna con mania perfeziosta e attenta ai dettagli il movimento lento a quello veloce e "dogmatico", in riferimento al Dogma 95, un punto di vista che è disposto a prendere i personaggi e a non limitarli a casi umani da osservare con rude freddezza, ma con un'armonica e morbosa partecipazione, in maniera da far compenetrare lo spettatore in un'atmosfera malsana che nasce dallo stridore di contrari fastidiosi e controversi (lo stupendo incipit, con tanto di penetrazione parallela alla morte del figlioletto). Dopo il fallimento di una particolare concezione della sessualità, una concezione quasi romantica (è dopotutto un accoppiamento leggittimo tra coniugi), i personaggi si dirigono involontariarmente verso il loro lato più perverso e animale, più magico di quello razionale, com'è magica e apocalittica una natura ostile e "bruciante", la natura del bosco. Dal confronto dei personaggi con la morte nasce un reciproco annullamento, una dissolvenza graduale della loro umanità, a favore di una bestialità senza freni, disperata perché consapevole della propria perdita di umanità. Un ritorno all'origine insostenibile per un'umanità civilizzata, che dà per scontati odio e felicità come sentimenti naturali, e che invece di fronte a tale primitività si concede a violenza e morte.
E' un film di discontinuità per il cinema perché mai in questo modo, senza compromessi, l'uomo è stato maciullato, distrutto, incenerito, com'è incenerito lo spettatore-tipo di un von Trier scatenato e masturbatorio, attratto dal cogliere la natura perversa dell'uomo e ricordarla a spettatori fin troppo viziati da un cinema mondiale pacificatorio.
Non è misoginia quella del finale, l'associazione all'estrema Charlotte Gainsborough del ruolo della strega, ma è piuttosto realizzazione più profonda delle paure dell'uomo, in preda a un disperato faccia a faccia con la propria natura, è una ricostruzione di ruoli disposti all'inizio della storia: se anche la donna poi è quella che si rivela "cattiva" e castratrice, l'uomo è debole e incapace di reagire, portatore di un'insulsa razionalità trascinata senza pietà nell'antro istintuale di una terra dotata della magia perversa dell'esistenza.
Non può piacere a tutti, ed è giusto così: non c'è dubbio che von Trier faccia riferimento alle debolezze più profonde dell'uomo e alla sua impressionabilità, poiché deve scatenere sentimenti e emozioni primordiali, rispetto all'oggi: paura, scandalo, voyeurismo. Eppure un cinema talmente privo di compromessi si ripiega su sé stesso, si autolimita, fino a diventire un prodotto chiuso, poco tollerante, che mette in scena fantasie vere e frequenti della mente umana, e che per un detestabilissimo autolesionismo si rende "anti-cinema", fra cambi di stile pretenziosi, un certo dirompente citazionismo, purtroppo metodologie facili e non necessariamente frutto di un grande maestro. Coraggioso, mai si vedrà film altrettanto crudele, altrettanto importante, altrettando deprecabile.
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