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Antichrist

Regia di Lars von Trier vedi scheda film

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La recensione su Antichrist

di EightAndHalf
8 stelle

Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre. Sedute psicoanalitiche che falliscono di fronte alla forza punitiva dell'incubo. Amplessi disperati e primordiali. Graduale perdita dell'umanità. Von Trier realizza un ibrido di proporzioni enormi, sadico e crudele, un inabissamento nella natura morbosa e perversa della sessualità, della vita. Come qualcosa di così primordiale e istintivo possa essere a principio della vita, ecco cosa si chiede il regista danese, che guarda più che mai all'onirico tarkovskijano.
E' un film di discontinuità, nella filmografia di von Trier, ma anche nella rappresentazione della sessualità nella storia del cinema. Per il cinema di von Trier è imperdibile questo nuovo punto di vista, che alterna con mania perfeziosta e attenta ai dettagli il movimento lento a quello veloce e "dogmatico", in riferimento al Dogma 95, un punto di vista che è disposto a prendere i personaggi e a non limitarli a casi umani da osservare con rude freddezza, ma con un'armonica e morbosa partecipazione, in maniera da far compenetrare lo spettatore in un'atmosfera malsana che nasce dallo stridore di contrari fastidiosi e controversi (lo stupendo incipit, con tanto di penetrazione parallela alla morte del figlioletto). Dopo il fallimento di una particolare concezione della sessualità, una concezione quasi romantica (è dopotutto un accoppiamento leggittimo tra coniugi), i personaggi si dirigono involontariarmente verso il loro lato più perverso e animale, più magico di quello razionale, com'è magica e apocalittica una natura ostile e "bruciante", la natura del bosco. Dal confronto dei personaggi con la morte nasce un reciproco annullamento, una dissolvenza graduale della loro umanità, a favore di una bestialità senza freni, disperata perché consapevole della propria perdita di umanità. Un ritorno all'origine insostenibile per un'umanità civilizzata, che dà per scontati odio e felicità come sentimenti naturali, e che invece di fronte a tale primitività si concede a violenza e morte.
E' un film di discontinuità per il cinema perché mai in questo modo, senza compromessi, l'uomo è stato maciullato, distrutto, incenerito, com'è incenerito lo spettatore-tipo di un von Trier scatenato e masturbatorio, attratto dal cogliere la natura perversa dell'uomo e ricordarla a spettatori fin troppo viziati da un cinema mondiale pacificatorio.
Non è misoginia quella del finale, l'associazione all'estrema Charlotte Gainsborough del ruolo della strega, ma è piuttosto realizzazione più profonda delle paure dell'uomo, in preda a un disperato faccia a faccia con la propria natura, è una ricostruzione di ruoli disposti all'inizio della storia: se anche la donna poi è quella che si rivela "cattiva" e castratrice, l'uomo è debole e incapace di reagire, portatore di un'insulsa razionalità trascinata senza pietà nell'antro istintuale di una terra dotata della magia perversa dell'esistenza.
Non può piacere a tutti, ed è giusto così: non c'è dubbio che von Trier faccia riferimento alle debolezze più profonde dell'uomo e alla sua impressionabilità, poiché deve scatenere sentimenti e emozioni primordiali, rispetto all'oggi: paura, scandalo, voyeurismo. Eppure un cinema talmente privo di compromessi si ripiega su sé stesso, si autolimita, fino a diventire un prodotto chiuso, poco tollerante, che mette in scena fantasie vere e frequenti della mente umana, e che per un detestabilissimo autolesionismo si rende "anti-cinema", fra cambi di stile pretenziosi, un certo dirompente citazionismo, purtroppo metodologie facili e non necessariamente frutto di un grande maestro. Coraggioso, mai si vedrà film altrettanto crudele, altrettanto importante, altrettando deprecabile.

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Ultimi commenti

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  2. (spopola) 1726792
    di (spopola) 1726792

    Si presta indubbiamente a multiformi interpretazioni questo Anticrhrist, né io so se sono davvero “riuscito a penetrarlo”, a comprenderlo fino in fondo o a leggerlo nella giusta maniera. Credo però che questo non abbia poi particolare importanza, poiché da qualunque parte la si prenda, la materia rimane “incandescente”. E’ sicuramente confermata la derivazione “nordica” delle ascendenze (ma più che di Bergman che pure è presente, parlerei questa volta dello Strindberg – inesauribile fonte di riferimento per tutta quella cinematografia – e più esattamente quello pungente e crudele di “Danza di morte” e del “Pellicano”) con qualche accentuato riflesso dreyeriano tutt’altro che secondario che riverbera sempre. Semplificando, potremmo dire allora che il film è una riflessione misogina sulla figura di una donna che non riesce a superare i propri sensi di colpa che si scontra (e si confronta) con tutto il “male” del mondo che la circonda, fino ad essere inesorabilmente sommersa dalle sue negatività. O potremmo invece ricercare assonanze tematiche con le leggende celtiche, o le storie di stregoneria medioevale, oltre che con alcuni temi trasversali (lo scontro furente dei sessi che diventa “lotta” accanita per la supremazia) che emergono per esempio da pellicole come "Luna nera" di Malle. Oppure, scegliendo un percorso più razionale e meno criptico, trovare paralleli con le paranoie ossessive della alienata protagonista di "Images" di Altman, ma a mio avviso avrebbe davvero poco senso fare tutti questi paragoni perché potrebbero persino farci correre il rischio di andare fuori strada. Io credo infatti che i molteplici piani di lettura consentano a ciascuno di lasciare alla propria sensibilità (o al vissuto personale) la scelta della chiave interpretativa che più risulta essere in sintonia con la sua anima e il suo pensiero. Quello che però mi sembra evidente, è come ancora una volta al centro del lavoro del regista ci sia il tema (e “l’analisi”) del caos… un fattore spesso ricorrente nei suoi “studi al massacro”, a partire dal non trascurabile "L’elemento del crimine". Il risultato è in ogni caso uno dei più personali e interiorizzati percorsi di “palpabile angoscia” passati sullo schermo, uno “scavo” scarnificante per tentare di contenere e risolvere il fortissimo stato depressivo in cui si era arenato il regista, come in un processo di “analitica” indagine conoscitiva: “Io faccio sempre lo stesso film, racconto le mie paranoie e fissazioni (come il sesso) che sono le stesse di quando ero un ragazzino: cambio solo la forma, il genere cinematografico, cambio anche le identità esterne dei personaggi. (…) Le mie opere dicono che l’uomo vuole essere stupido e che, riuscendoci, distrugge ogni cosa. (…) Mi ha sempre interessato il tema, il desiderio cattolico di controllare ed esorcizzare i propri demoni. In questo c’è un parallelo con la psicoanalisi. Io lo faccio col cinema: vi immetto i miei mostri e a quel punto dal dolore passo a un altro tipo di sensazione. Nei film i demoni diventano i miei amici, i miei compagni di gioco. In “Antichrist” lo stesso discorso si può fare per le paure, quelle di una donna quando le nasce un bambino, per il fatto che la maternità entra in contrasto con il rapporto di coppia. Dalla mia esperienza, anche se non si mettono le scarpe al contrario al figlio, so di donne che vanno in difficoltà, cambiano la percezione di sé all’interno dei ruoli affettivi/familiari/sociali. Entra in crisi il rapporto sessuale col compagno/padre: il sesso diventa frustrante, e questo anche per il partner. (…) Il film è stata anche una mia terapia. Non saprei perché, ma scriverlo mi ha sbloccato e realizzarlo mi ha fatto sentire molto meglio. Non chiedetemi il motivo, cosa sono riuscito a mettere della mai depressione nel film e come mai questo mi abbia aiutato ad uscirne, ma è così.”Antichrist” mi ha guarito, e per questo lo ringrazio e lo apprezzo molto”: sono dichiarazioni “importanti” rilasciate proprio da Von Trier durante un’intervista, e “dobbiamo” credergli davvero sulla parola, perché io trovo una comparazione diretta fra quello che ha teorizzato, e ciò che ho riscontrato sullo schermo (nonostante che poi io, con il mio “personale vissuto”, sia stato portato a spingermi in territori di tutt’altra natura, che è poi probabilmente proprio il percorso Privato che ciascuno deve fare all'interno di se stesso).

  3. EightAndHalf
    di EightAndHalf

    Insomma, è sicuramente un film che penetra e colpisce, entra dentro e realizza un profondo scavo psicologico, poi è superfluo stabilire se l'operazione è stata più o meno egoistica (utile solo a von Trier o di interesse collettivo). Sta di fatto che a fianco di varie considerazioni psicologiche e quindi di quanto psicologicamente il film possa colpirci, io ritengo che in questo film si parli invero di elementi assoluti e indeterminati, ottenuti attraverso varie simbologie. Von Trier è riuscito a far coincidere, vista la citazione di @spopola, l'elemento personale e psicologico e anche uno simbolico e universale, di valenza collettiva. Ed è il motivo vero per cui il film si salva. Perché per il resto l'operazione è a senso unico, e va "contro" lo spettatore, sconvolgendolo e facendosi del male. Qui sta il limite del sufficiente "Antichrist", ricco di spunti ma al limite dell'esibizionismo. Ma forse anche l'esibizionismo è lo sfogo mentale di un von Trier evidentemente tormentato..

  4. (spopola) 1726792
    di (spopola) 1726792

    Scusa se insisto ma (paeere ovviamente strettamente personale) mi sembra un tantino ingenerosa la sola sufficienza. Comprendo e conosco perfettamente tutto ciò che ha potuto infastidire, dare noia , creare il “rigetto”, poiché anche io non sono stato esente dal provare analoghe sensazioni: mi è accaduto proprio qualcosa di simile all’inizio, durante la visione in sala, quando ho avvertito e voleva essere predominante, quel particolare “scompenso sensoriale” tutto in negativo (e in quei momenti l’ho quasi detestato), che mi ha fatto stare molto male anche fisicamente, come se fossi avvolto da un crescente senso di nausea per quegli eccessi “distruttivi” esasperati e reiterati, e con la tentazione per questo, di fuggire precipitosamente lontano per non essere “devastato” fino in fondo). Ma poiché non sono sufficienti né “una volpe che parla” a farmi diventare ironicamente caustico, né tanto meno quelle scene di crudo, insistito, “insopportabile” realismo a “costringermi” a desistere dall’andare avanti nella visione, ho volutamente sfidato la mia “resistenza” e ho deciso di “subire” il fastidio e, lentamente, mi sono sentito trascinato sempre più nel gorgo, fino ad essere trasportato dal flusso avvolgente delle immagini a mia volta “dentro a quel bosco” (anche per me una specie di “autoanalisi indotta” che sembrerebbe si a stata quella che ha spinto Von Trier a realizzare un'opera così profondamente crudele anche per se stesso?), perché è proprio lì che io credo mi (“ci”) volesse portare il regista, un bosco terrificante e malefico, dove finiamo anche noi per aggirarsi scoraggiati e attoniti: io per lo meno mi sono sentito così, improvvisamente, sopraffatto dalle mie paure e dai miei sensi di colpa, dalle mie omisisoni, senza riuscire a ritrovare la mia “personale” via per uscirne di nuovo fuori a causa dei tanti (“troppi”) punti di contatto identificativo che ci ho trovato, che non attengono tanto ai fatti narrati, quanto alle “posizioni mentali” descritte (ma questa è una condizione più privata che universalizzabile e forse allora non può nemmeno fare testo ed è meglio accantonarla). Del resto, (e cerco così di ritornare sul generale visto che l'ho anche scritto a suo tempo) se spesso si “salva” o si dà la sufficienza a un’opera solo per particolari, “marginali” elementi che - in un marasma di anemiche inadeguatezze – riescono a stimolare (risvegliare) qualche “senso” un po’ sopito, come una “splendida fotografia” o una “entusiasmante colonna sonora”, se ci si appiglia a una recitazione “particolarmente azzeccata,” o a qualche scena “fortemente empatica” per dire che “comunque qualcosa di buono ci stava”, non vedo come persino da parte di chi non ha gradito, o dei denigratori più accaniti (non parlo di te ovviamente perchè la tua opinioneica al di là del voto finale è molto interessante ed esaustiva ed ha evidenziato ulteriori elementi di riflessione che colgo volentieri e faccio miei), non si debba essere anche qui un po’ più clementi, visto che (e questo è un risultato in ogni caso assodato, indipendentemente dal resto, che per me è poi consequenziale, ma non necessariamente potrebbe esserlo per tutti) per lo meno la scena d’apertura è un “capolavoro assoluto”, perfettamente compiuta in sé, addirittura “ineccepibile”, dove immagini (lo splendente nitore di un inedito bianco e nero), musica (la straordinaria aria dal Rinaldo di Haendel, “Lascia ch’io pianga / mia cruda sorte / e che sospiri la libertà. / Il duolo infranga queste ritorte / de’ miei martiri sol per pietà” che sembra scritta apposta per essere la lacerata colonna sonora di “quel” momento) e movimenti (con un inusuale, inedito “rallenty” quasi sincopato che sembra voler dare corpo alla fisicità statica di un album fotografico “mosso” dall’interno), si fondono perfettamente in un unisono di alto valore anche “figurativo”, struggente e quasi trasognato, fra il sublime della poesia e lo stridore violento del sesso consumato come in una frenesia furente. E il contrasto perfettamente esibito e “avvertito” che c’è fra la tragedia e l’innocenza, fra il “puro” e “l’impuro” (simbolicamente parlando) è una contrapposizione straziata e pregnante che da sola meriterebbe la “celebrazione” per acclamazione di colui che ha concepito con tanto rigore anche stilistico, questo opulento splendore di impareggiabile lirismo…

  5. EightAndHalf
    di EightAndHalf

    Sono d'accordo, ma credo che ci sia qualcosa di fin troppo ambiguo nel modo in cui von Trier ha cercato di sconvolgere lo spettatore. Io ho sempre creduto nel suo cinema, ho visto tutti i suoi film (il mio preferito è Dogville), e in tutti i suoi film c'è sempre stata una forte componente disturbante, dal melodrammatico di Dancer in the Dark fino al grottesco di "Riget" e "Riget 2", ma ritengo che qui si sia spinto oltre per portare a livello esagerato una sensazione di disturbo che ha dato altre volte senza necessità di esibire in maniera così ostentata il disgusto e la violenza. Io sono sempre stato interessato alla messa in scena della violenza, e qui sicuramente mi ha annientato, comprendevo che c'era qualcosa in più, che non era soltanto un distribuire gratuitamente immagini..ma, se devo contestualizzare nell'intero cinema, o almeno all'interno della mia intera esperienza cinematografica, ritengo che qui certe "scorrettezze" fossero necessarie fino a un certo punto, fossero la stoccata finale assolutamente coerente (perché von Trier è comunque un maestro) ma eccessivamente violenta, e limita fortemente il pubblico di un film che avrebbe potuto essere ben più importante di così. Io non dico che è necessario cercare un compromesso con il pubblico o con altro, ma reputo che un po' più di umiltà non avrebbe fatto male, benché io sappia che cercare umiltà in von Trier sia inutile. In certi suoi film, però, meno insistentemente simbolici e tematicamente molto duri e vicini alla realtà, quest'eccesso si faceva cinema e diventava stile, e risultava ben più apprezzabile. Qui la violenza (ripeto: assolutamente coerente) amputa il film, supera un eccesso che smuove, e senza il quale comunque si sarebbe usciti scossi. Ciò non toglie che sono molto affezionato a questo film, e che l'ho apprezzato, ma purtroppo non mi ha certo fatto cambiare parere su certo tipo di cinema o altro, né mi ha trasmesso tanto quanto altri film ben più evocativi e impliciti.

  6. GARIBALDI1975
    di GARIBALDI1975

    Bella recensione e ricchi commenti, ... c'era da aspettarselo Lars von Trier "spacca". Comunque, la discussione è accativante! Recupero il titolo.

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