Regia di Lars von Trier vedi scheda film
Antichrist è il primo vero, grande film sulla depressione, una malattia grave, diffusa e subdola, perchè assolutamente incomprensibile dall'esterno, esattamente come Antichrist è risultato un lavoro incomprensibile per una certa parte di pubblico alieno alla tematica o semplicemente mal disposto verso di essa. Ne soffre, notoriamente, anche lo stesso Von Trier, sempre spalleggiato/promosso da polemiche futili e battibecchi con la stampa, e bisogna aggiungere: purtroppo; quello che viene spacciato per un regista in crisi, anche questa volta sforna un lavoro originale e personale, dalle tinte cupe come i suoi primi film e figlio delle regole dei suoi ultimi, ovvero essenzialmente montaggio drastico, inquadrature realiste, luci crude, dialoghi spezzati e non sempre influenti (per non parlare della suddivisione in capitoli che apparenta Antichrist a Dogville e Manderlay). Inoltre si aggiunge una scelta importante quale quella dell'utilizzo a più riprese del ralenty e dell'audio ovattato: per qualcuno è l'ovvia rappresentazione del frustrante, annichilente stato della depressione, per altri si tratta di un semplice escamotage estetico (pure abbastanza fuoriluogo, paratelevisivo) e quindi ufficialmente Von Trier è bollito (così come un depresso è soltanto un matto) e via dicendo. L'ispirazione insomma c'è inequivocabilmente tutta; ciò che davvero lascia perplessi nei cento e più minuti di Antichrist è però la scarsità di idee attorno a cui ruota la trama (sceneggiatura del regista stesso), idee appositamente rese ancora più spoglie e minimali forse anche per concedere molteplici interpretazioni alla vicenda; l'interpretazione più superficiale vorrebbe paragonare la natura (madre) alla donna e vedere in esse una sorta di eterno nemico (un anticristo, eccoci) dell'uomo, destinato a soccomberle presto o tardi. Ma nulla a che fare con evoluzionismo, religione o filosofia: i personaggi sono soltanto due, i dialoghi non offrono grandi spunti di riflessione, la trama è scarna e lineare: la donna impazzisce di dolore e massacra l'uomo. Su quale sia il messaggio recondito, poi, bisognerebbe discuterne per ore o giorni. Si possono inoltre intravedere richiami a Passione (Ingmar Bergman, 1969), per quanto riguarda la presenza di animali feriti e la susseguente tormentata relazione sadomasochistica uomo/natura (cioè uomo/donna). Spunti horror e qualche scena di sesso esplicito completano il 'verismo' di Von Trier, ma anche qui niente di nuovo da segnalare. Il ritmo stenta a decollare, ma l'ultima mezzora è davvero mozzafiato, con un paio di primi piani (entrambi con protagonisti i genitali dei due personaggi) insostenibili. 6,5/10.
Una coppia perde il piccolo figlio. Lui, psicoterapeuta, decide che sia meglio per entrambi rifugiarsi in una casetta nella foresta. La donna è però ancora troppo turbata e, complice l'atmosfera spettrale e maligna della natura attorno a loro, ben presto comincia a rivelare folli istinti omicidi.
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