Regia di Nico Cirasola vedi scheda film
Un ottimo, onesto e veritiero documentario, di 15 anni fa, contro la globalizzazione. Breve, veloce, ha tanti meriti. Non è retorico, ma riporta fatti: è empiricamente dimostrato che i panini del Mc Donalds siano tra le cose peggiori mai prodotte dalla ristorazione; come anche che la tradizione fornaia italiana, sicuramente quella pugliese, in particolare quella barese (qui nella fattispecie di Altamura) sia un’eccellenza, anche se paragonata con altre tradizioni fornaie a livello planetario.
Cirasola firma un film senza grandi pretese, che mantiene l’umiltà giusta per far passare il suo, straordinariamente meritorio, messaggio: che la cultura locale, in termini di dialetto, di tradizioni che hanno un senso ed un valore, di proposte che poi alla prova dei fatti sono migliori della concorrenza (e qui incredibilmente migliori, se si pensa al fast food americano, cioè il punto più basso di un aspetto così centrale per l’umanità come l’alimentazione) non può e non deve esser affossata dall’imposizione di un modello straniero. Il quale invece tende a vincere non perché merita di farlo (su quel piano dovrebbe perdere subito, per la miseria della sua offerta: come ad Altamura storicamente è accaduto), ma perché ha mezzi economici ben maggiori, tali da stritolare una concorrenza indiscutibilmente migliore.
La sceneggiatura ha pure il merito di non scadere nella facile retorica del vecchio e del localistico. Cioè: non sostiene la comoda frase del nonno che sfrutta il suo potere generazionale sui minori per dire “ai miei tempi si stava meglio, ora è tutto peggio”, con tutta la spiegazione che qui non si può dare di questa frase, ma che si auspica che sia chiara. Né si sostiene la predilezione localistica di chi afferma a priori “la mia origine è sempre la migliore”, che implica ignoranza, chiusura, e che è tipica del sovranismo, che pure ha molte meno colpe di quelle che la menzognera vulgata capitalista diffonde (anche qui, tutta la spiegazione non si può qui dare, ma si auspica che sia chiara).
Il film è anche un efficace inno al made in Italy: che su temi fondamentali dell’economia e del gusto della vita, e quindi sui consumi di miliardi di persone, è la migliore, superando quasi sicuramente altre tradizioni insigni, come quella francese e quella dell’Oriente. Basterebbe non eleggere politici ladri, corrotti, amici dei mafiosi da cui sono controllati, per potere sottomettere gran parte del mondo economico al controllo italiano: per le esportazioni del lusso (enogastronomico come qui si vede, ma pure per tante altre cose, come la creatività artistica, la moda, il design, la motoristica…), ma anche per l’indotto qui da noi. Infatti non c’è motivo per cui l’Italia non sia il centro mondiale del turismo. Infatti è inequivocabilmente meglio di qualunque altro paese per la somma di tanti fattori che attraggono i turisti: patrimonio artistico, cultura in senso lato, mare, montagna, turismo di qualità anche nei contesti di pianura e collina, enologia, gastronomia (i paesaggi delle Murge qui raffigurati sono splendidi) … Anche qui emerge la tendenza sadomasochistica dell’elettorato italiano. Se questo non votasse quasi sempre per i ladri che puntano all’impunità, l’Italia, cioè noi, potremmo vivere di rendita per secoli, anche solo sul patrimonio che abbiamo ereditato. Ma noi lo facciamo ugualmente, da tempo.
Oltre che delle persone semplici, ottimo è anche il contributo degli artisti di professione (Lino Banfi, Arbore…) per quella che è una nobile causa.
Questo intreccio di narrazione e documentario esalta anche l’ironia, altro patrimonio ragguardevole dell’Italia, specialmente al sud che qui è sotto i riflettori. Splendida è la simpatia dei baresi autentici fatti parlare in libertà: in particolare dei vecchietti che andavano al McDonald solo per il refrigerio dell’aria condizionata, e non certo per mangiare quelle modeste cibarie, peraltro nocive, come il medico nel film giustamente ricorda.
Anche se apparentemente sembra troppo caricata, e poco credibile, felice è pure la variante narrativa introdotta dalla storia d’amore fra la procace popolana e il fruttivendolo: suggellata di sfuggita nei titoli di coda dal lieto fine (tra due attori sposati nella vita reale e sempre assieme sul palcosecnico), sottolinea efficacemente la preferenza da accordare per ciò che è buono, autentico e semplice. Ottima la scena in cui (l’improbabile) seduttore scarta i pomodori dalla focaccia, e si aliena così le simpatie della popolana, che tale focaccia gli stava ammansendo con una sensualità tanto innegabile quanto grottesca, ironica e, alla fine, assai simpatica. Non si può offendere un patrimonio come quella focaccia barese: in parte è come offendere la vita, e ciò che di bello offre.
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