Regia di Ang Lee vedi scheda film
Perché affidare a un signore di Taiwan il racconto di uno dei momenti topici della storia culturale americana? Probabilmente perché Ang Lee, uno dei registi più sopravvalutati della storia del cinema, offre sempre garanzie al botteghino.
Motel Woostock racconta come nacque il più famoso festival della storia del rock, quello di Woodstock, quali vicissitudini organizzative ci furono dietro e come si arrivò a quella gigantesca kermesse che in tre giorni di pace, amore e musica raccolse oltre mezzo milione di ragazzi, per lo più hippy, diventata un pezzo di storia d'America. Lee parte bene quando racconta la parabola del piccolo imprenditore locale (Goodman), un 27enne gestore di un motel insieme ai genitori, che nei panni di presidente della camera di commercio prende al balzo la palla per portarsi a casa gente come Janis Joplin e Jimi Hendrix. Se il ritratto della famiglia ebrea emigrata nelle zone rurali degli States funziona, il resto attinge a piene mani dagli stereotipi: gli hippy sono tutti accaniti consumatori di droghe, il teatro d'avanguardia è una buffonata che si rappresenta con provocazioni in costume adamitico, la bisessualità è un dogma, la protesta contro la guerra in Vietnam un'accozzaglia di slogan. Lee porta a casa il pingue compenso col minimo sforzo sindacale, arrivando addirittura a replicare sfacciatamente lo split screen che Michael Wadleigh utilizzò abbondantemente per documentare il festival nell'omonimo film. Dalla sua, un paio di scelte coraggiose: quella di aver puntato su attori poco noti e quella di aver lasciato il concerto sempre fuori campo.
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