Regia di Alberto Sordi vedi scheda film
Una "commedia drammatica" che colpisce non per il livello tecnico, che è discreto e nulla più, ma per la provocatorietà reale. Il film è all’incirca del ’68 e lo dimostra: ma non si tratta di una provocazione gratuita (come altre del tempo), bensì autentica, perché vuole andare a smuovere quanto di inconfessabilmente vero, e quanto meno possibile, c’è e c’è stato nei matrimoni. Tante volte le cose non sono andate così. Ma tante altre volte sono andate così, e purtroppo sovente anche peggio di così; e molto peggio. Si parla di 50 anni fa (giova ripetere la distanza temporale, anche per sottolineare l’attualità di questo lavoro anche oggi): allora trattare queste tematiche era anche una innovativa, e a suo modo coraggiosa, maniera di scalfire i tabu dell’indissolubile sacralità del matrimonio, così come i pregiudizi e le illusioni dell’amore perfetto, sancito dal destino che si auspica sempre così benevolo nella sua provvidenzialità.
Il film ha il suo merito nel mostrare la potenziale incontrollabilità totale dei sentimenti; e dunque anche delle istituzioni che si erigono sopra questi sentimenti, proprio come quella matrimoniale. La moglie è una psicopatica: del tutto irresponsabile. Una persona che non può che vivere male (anche per il fatto, e non è una colpa ma una sfortuna, di aver avuto una madre che denuncia medesimi difetti), e che non può che far vivere male chi gli sta attorno: marito, in primis, e figli, sacrificati alla sua pazzia. Ma la pazzia si riduce più che altro alla vanità: credere di potersi permettere di tutto, senza coerenza, sforzi e autodisciplina, illudendosi pure che alla fine le cose andranno sempre bene, o comunque non andranno male; illudendosi di essere superiore alla massa, e quindi illudendosi che la propria immagine positiva non verrà mai scalfita. Il merito qui del Sordi soggettista e sceneggiatore (qui con grandi come Sonego e Pinelli), e regista (merito che in tali impegnative vesti raramente gli è stato riconosciuto come doveva, pur nella consapevolezza anche dei limiti varie occasioni), è di aver offerto il ritratto di una caratteristica donna della borghesia: insoddisfatta, depressa, superficiale, frivola, fallimentare come moglie e madre, inconscia della propria situazione. Non stiamo parlando di una narrazione alla Flaubert, o alla Moravia, beninteso; ma comunque di una rappresentazione viva, realistica, chiara, sincera, alla portata di tutti.
Il film è lungo, ma corre veloce, assecondato bene dalla colonna sonora di Piccioni e dalla fotografia. Sordi e Vitti recitano alla perfezione, come sempre. Strepitosa è soprattutto la Vitti, qui nei panni della protagonista assoluta, della donna squilibrata e inconsistente, eternamente indecisa e capace solo di errori, di cui non può che pentirsi amaramente. Ha sempre bisogno di un uomo come porto al riparo dalle proprie insicurezze. Non riesce ad essere emancipata, né a stare da sola, ma nemmeno riesce a decidersi per la monogamia e la fedeltà. Da queste incapacità nascono tutti i problemi che le distruggono l’esistenza. Destino comune a tante donne (e non solo) in carne ed ossa.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta