Regia di Vittorio Rifranti vedi scheda film
Sui flani di una volta avrebbero scritto: «Il film che non vedrete mai in televisione». Cinema malsano, nudo e crudele, con ambizioni liriche e un cast femminile intrigante, la discesa agli inferi di Vittorio Rifranti, premiata a Locarno, due anni fa, come migliore opera prima. Rappresentazione “hard… tistica” del corpo come sofferenza, del dolore come piacere, della performance come sopravvivenza. Storia di Nada, Paola e Massimo che si conoscono in ospedale, dopo un lungo periodo di coma, in seguito a un incidente che ha lasciato loro profonde cicatrici, non solo nella carne. Dopo aver visto la morte in faccia, i tre ragazzi non possono più vivere: tagliano le parti in grigio, abitano un mondo assoluto, a parte. L’incontro casuale con la body art, tra pratiche di scarnificazione e mutilazione, segna un passaggio estremo ma cruciale della loro riabilitazione, nel tentativo, probabilmente inutile, di esorcizzare i fantasmi del trauma. Riavvicinarsi al dolore fisico per sconfiggere il dolore interiore. Inevitabili i raffronti con la poetica ballardiana, da Cronenberg (Crash) in giù, un’esperienza da vivere in modo poco razionale, comprese certe digressioni poco chiare della vicenda, sugli orrori della guerra, ma da apprezzare proprio per questo.
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