Regia di Niels Arden Oplev vedi scheda film
Leggere un libro e vederne il film spesso comporta smottamenti emotivi. In questo caso le componenti si moltiplicano e cercherò di metterle tutte sul piatto. Partiamo dal presupposto fondamentale: il libro non mi è piaciuto. Punto primo: ti intriga con un malioso ed affascinante incipit che resta clamorosamente fine a se stesso sia nel libro che nel film, e trovo semplicemente incredibile che tanti amanti del thriller si accontentino dello zuccherino fatto balenare appena un attimo.... Punto secondo: se la tira per buone trecentottantanove pagine di contorno narrativo, ed io, giuro, ho continuato a leggere solo per vedere dove avevano imboscato il mio ormai logoro incipit dal fascinoso acchiappo iniziale. Punto terzo: si conclude sconclusionando con una serie di alambiccate soluzioni stratirate per i capelli e molto della serie "guarda un pò che me devo inventà pè fà du sordi cò un libro". Chiudi il voluminoso volume e dici: ragazzi, gli altri due libri della saga ve li leggete voi e quelli della palazzina vostra. E torniamo a bomba. Da ambedue, libro e film, salvo la Lisbeth, elemento anomalo, dal carattere scorbutico, che catalizza attenzione e tenerezza, sottodimensionata anche lei dal film che comunque, e paradossalmente, la eleva a protagonista assoluta pur riducendole, nel dissennato gioco al taglio selvaggio, spessore emotivo, tematiche e sentimento, una Nikita sregolata insomma, mentre leggendola, l'approccio è più sfaccettato. E diamo pure un'occhiata al film, visto che ci siamo. L'incipit, dicevamo, è il medesimo del libro: l'amata nipote del magnate Vanger regalava allo zio un quadretto con fiori e foglie essiccate e sottovetro ad ogni compleanno. Dopo la misteriosa scomparsa della ragazza però, avvenuta anni orsono, l'invio continua misteriosamente a perpetrarsi nel tempo, e Vanger non si spiega questo girare il coltello nella piaga. Ma tutti sapremmo, (con certezza alla fine), che se uno di questi quadretti fosse stato sottoposto al genietto Lisbeth, questa ne avrebbe sviscerato non solo la provenienza, la sostanza, il mittente, ma pure il numero della cassa di Ikea dove era stato comprato ed a che ora, il nome della cassiera che aveva battuto lo scontrino, e la marca del chewingum che stava ciancicando in quel momento. Certo il libro sarebbe durato 40 pagine ed il film mezz'ora! E come lo infinocchiamo l'utente finale poi?! Ed allora continuiamo a farci del male... comunque... mentre tutto il libro, nonostante il bradipesco evolversi (non me ne voglia l'ossimorescamente iperattivo Emidio...), è permeato di profili psicologici, personaggi e personaggini di contorno a volte anche fondamentali per la storia (vedi la figlia di Mikael, vero passe-partout per la soluzione finale, nel film mannaiata senza pietà), nella trasposizione cinematografica si centrifugano tutte le chiavi di volta, snellendo a più non posso ed esautorando, assieme ai tempi morti, pure impulsi passionali, frustrazioni psicologiche, sensi di colpa, coinvolgimenti affettivi, innamoramenti in embrione, conflitti interiori, e facendoli fuori tout court, personaggi e personaggini, di contorno e non, puntando tutto sull'effetto visivo e qualche scena shock dal sicuro appeal, ma bruciandone anche qualcuna, di scena chiave, come il mitico primo incontro tra Mikael e Lisbeth - quello che resuscita il libro a pag 389... e se lo hai letto, in certi momenti ti sembra di assistere ad un avanti- veloce che quasi cerchi il telecomando per ripristinare i tempi originali. Quindi in estrema ma sufficiente sintesi: libro troppo prolisso e film troppo frenetico. Di certo il film si fruirebbe meglio all'oscuro del libro. Ma proprio tutto sommato, si fruirebbe meglio del nostro tempo rimanendo all'oscuro di entrambi. Sequel compresi presumo, stampati o cinematografati che siano...
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