Regia di Niels Arden Oplev vedi scheda film
“Uomini che odiano le donne” è un noir che porta di nuovo alla ribalta l’indagine investigativa, non più funzionale alla sovraesposizione del personaggio principale ma collegamento coerente di elementi apparentemente inconciliabili. Una dichiarazione d’intenti che sarebbe piaciuta a Raymond Chandler, da sempre fautore di crime story costruite senza forzature o sottomissioni alla spettacolarità delle situazioni e derivate da un analisi sociologica indispensabile alla credibilità dell’invenzione artistica. Il nostro, evidentemente supportato dalla solidità della fonte scritta, ambienta la vicenda nel paesaggio svedese e usa i luoghi comuni sull’efficienza di un paese da sempre annoverato come modello di modernità e compostezza per smascherare le ipocrisie la decadenza che da sempre sono il contraltare del decoro e della ricchezza. Un “grande sonno” in versione scandinava (anche qui è il patriarca di una famiglia patrizia che dà il via all’indagine) che si avvale di due personaggi forti, un giornalista d’assalto che si inventa detective per riscattarsi da un processo ingiusto che l’ha messo fuori gioco, e da una hacker cyber punk, bisessuale e tormentata da un oscuro passato, che diventa sua assistente (e non una bella statuina) e da un incipit rafforzato dallo sguardo della ragazza scomparsa, una specie di Monna Lisa che il film ripropone più volte attraverso la fotografia usata per la sua ricerche, e che diventa, non solo per le parti in causa ma anche per lo spettatore in sala, una specie di ossessione che lo calamita senza pause all’interno della storia. Un appeal molto americano per un film corroborato da un gusto tutto europeo nella costruzione dei personaggi ai quali si permette di appartenere ad un mondo, in cui anche la riflessione ed il silenzio hanno un significato e non sono semplicemente una mancanza in termini di spettacolarità e di tempi cinematografici.
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