Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film
Mi chiedevo se saccheggiarlo con seria veemenza, questo film, oppure affidarmi alla verve sarcastica e denigratoria che mi anima solitamente quando un pellicola tracima dal mio, personalissimo, lo ammetto, concetto di sensato. Ho letto altre, anche contrastanti, opinioni, ma le più esaltano la sensibilità, la poesia, la carica emotiva, la ricercatezza delle citazioni, l’intreccio narrativo, la delicatezza dei rimandi… ho visto proprio un altro film allora? Vi propongo un punto di vista: Almodòvar ci regala l’allegoria di una sua opera giovanile, dove un regista non riesce a finire un film perché una sua vecchia spasimante cieca e gelosa gli ha nascosto 16 kg di coca nella cinepresa (ed infatti il montaggio è tagliato malissimo) mentre l’attrice principale non può diventare la sua amante visto che coltiva già una tresca con un vampiro gay che li ucciderà tutti e due gettandoli da una delle guglie della Sagrada Familia. Scherzavo ovviamente.. era solo un piccolo giochino in omaggio all’eclettismo almodovariano e che vuole, comunque, rendere almeno merito alla sua tecnica/puzzle, capace di imbastire storie con gli elementi più disparati rimettendo insieme un’immagine compiuta anche tra mille pezzi di tante foto strappate. Stavolta però sembra pretendere troppo. Esaminiamoli questi ghirigori spezzati: si parte da un ex regista cieco che copula con una biondona che dieci minuti prima l’aveva aiutato ad attraversare la strada… partenza col botto direte… ed infatti lo diciamo anche noi: a parte il fatto che anche George Clooney avrebbe difficoltà, da cieco, ad acchiappare gnocche disponibili ad ogni attraversamento di strada (dite di no eh?..)… comunque la bionda, oltre al feticistico piedino (se ne rivedranno di piedini e di scarpine) che sporge monellamente dal divano, serve solo a leggere sul giornale al nostro Mateo, della morte di Ernesto Martel (e chi sarà mai costui? Il connotato thriller del film prende forma). In quel salotto poi entreranno la segretaria Judit, il figlio di lei, Diego, la cameriera, il portinaio, l’ascensorista… tranquillo come posto per accoppiarsi!... il nostro ex regista cieco gravita tra sceneggiature procurategli dalla sua segretaria factotum e telefoni e computer parlanti che ne agevolano il quieto vivere. Spuntano anche strani personaggi in visita che intrigano ed insospettiscono e la cui identità sarà svelata solo in seguito (il connotato poliziesco prende forma). Diego invece, oltre ad aiutare anche lui l’attuale sceneggiatore cieco, fa il dj catatonico in un posto di schizzati dove inciuciano droghe sintetiche, mischia l’HMGM con L’FWSH e cade in coma fatato (il connotato dramma del film prende forma). Al risveglio trova al capezzale Mateo, (accompagnato dal taxi al Pronto Soccorso da una signora di passaggio… ed infatti in sala il pesiero è comune: “mò se la fà appena arriva in accettazione”), che decide di sollazzarlo raccontandogli tutta la sua vita passata (adesso! dopo quindici anni che vivono insieme…) e viaa! indietro nel tempo! (il connotato flashback prende forma) fino a ricordare il finanziere arrampicatore di zoccole che s’innamora della sua segretaria, Lena (Penelope Cruz) abbisognosa di soldi per le cure del padre malato (indovinate come li otterrà…), la voglia di quest’ultima di fare cinema (dopo aver fatto ormai coppia fissa col magnate), l’incontro col suddetto regista (ancora vedente e gaudente), la gelosia del vecchiaccio (me butta pure la Penelope dalle scale!), le riprese truccata sempre più da Hepburn e da Monroe e sempre meno da Cruz (forse l’ultimo a “centrarla” è stato Woody Allen…). E poi il film (nel film) che non decolla (il connotato film nel film prende forma), l’amore costretto, il decrepito che li spia (il connotato film nel film nel film prende forma), la fuga liberatoria nella splendida Lanzarote alla faccia di tutto e tutti (il connotato melò prende forma), l’incidente tra le uniche due macchine e nell’unico incrocio dell’isola (!!!), il figlio gay (che più gay non si può – impari Ozpetek! -) che li segue dappertutto con videocamera/protesi annessa. Lei che muore e lui che resta cieco (il connotato sfiga prende forma). Certo sono un insensibile… non ho afferrato l’afflato del sogno d’amore spezzato, non ho gioito delle intersecazioni temporali che inchiodano i ricordi, non ho goduto della Penelope che gazpacha sospirando o rotola con grazia (?!) dalle scale (eppure lo stesso Mateo se ne accorge: "solo nei film si cade dalle scale” – ma in quelli fatti bene però - n.d.r.) o svomitazza con le tette al vento dopo un rapporto col vetusto (certo che per un bel po’ d'anni, non è sembrato affatto farle tanto schifo il vecchiaccio…), non ho infine subito il fascino del film raccontato nel film (un po’ Coen e un po’ Stiller) e del filmato del produttore geloso che filma il tutto, film, attrice e regista fedifraghi. Tant’è che, confessa Mateo alla fine, “un film và comunque finito, anche alla cieca”. E con questa dichiarazione , il regista mette tutti d’accordo svelando la tecnica base di quest’ultima sua opera: girare al buio (il connotato grottesco prende forma)… p.s. inquietante, infine, il sospetto che la saga di Twilight sia non poco debitrice alla sceneggiatura di Dona Sangre (e pure il connotato spystory prende forma…)
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