Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film
E’ un film sul film di un film. Come da Pedrosa abitutine, un paio di froci dentro e del gran sesso, condito in almeno tre salse. (dunque… una prima son nascosti dallo schienale del divano, tranne un filo di dorso di lui e un piede cedevole all’orgasmo di lei; un’altra son belli esposti e ansanti tutti e due; la terza invece è fantasmatica, tutta sotto le lenzuola candide dalla testa ai pie’. Chi c’era sotto, o dietro, non importa). Importa invece che la Cruz la si trovi conciata in tutti i modi, che così la conciano nei provini per il film del film dentro il film, impiastricciata in varie tonalità, fino a che, senza nessun pudore, si arriva fino alla parrucca di cane sintetico platinato, sotto la quale sfoggia una goliardica rassegna di pose e sorrisi tutti uguali che neanche la valletta della Corrida di canalecinque. Pedro, si sa, si diverte così…
Per bilanciare, i vestiti che fa indossare alla medesima Cruz (non quelli del film nel film del film che deve essere tipo la Hepburn, dove si chiama Pina come la moglie di Fantozzi Ugo), se si includono accessori e optional, ricordano un po’ il guardaroba di Cleopatra, quella d’Egitto.
Tra i froci da incastrare nella storia, Almodovar sceglie un Ruben Ochandiano inquietantemente simile a Paul Simon, almeno nella fase –ante, quando ancora sculetta. Poi il tempo passa, e giustamente prende le sembianze tipo uno dei Take That, sempre frocio ma dandolo meno a vedere.
Ma la storia sono tre. Quasi tre. Tutte dentro il cinema e una dentro l’altra, divise in due tempi diversi che si danno la staffetta, più uno finto che è il film del film dentro il film.
(A proposito di dentro… nonostante il film abbia già sfogato la sua furia nel multisala sciccoso fuori città per una settimana, nel “mio cinema” stasera c’era un fottìo di gente, miliardi e miliardi di microbi di aaccaunoenneuno pronti a distruggerti…..).
E in queste tre storie troviamo l’iper-mandibolato Lluìs Homar che si fa chiamare Hurry Cane, manco fosse una famosa canzone di Paul Young, che vede-nonvede a seconda dell’anno dove siamo, autor/regista/scrittore innamorato perso dietro la Cruz.
Anch’egli perso dietro la Cruz, un arrogante Jose Luis Gòmez nella parte di ErnestoSparalesto, vecchio e porco e schifoso produttore cinematografico, che verrà alfine informato delle sue poderose corna da un’asettica ed imparziale Lola Dueña, esperta in labbiale.
Completano il circolo: una piagnucolosa, troppo piagnucolosa Blanca Portillo nella triplice veste di produttrice esecutiva, amante antica e segreta dell’Uragano, e madre del cappelluto Tamar Novas/Diego, modestamente dedito ai mischioni di droghe (occhio gente: mai prendere la ci-o-sette-erreuàn insieme alla biblo-icse-di-nove…. Vedete, può far male….), un’Angela Molina praticamente invisibile, e una invece perfettamente visibile Kira Mirò che peccato scompaia subito di scena dopo aver accompagnato fin nel suo appartamento il non vedente Hurricane giusto il tempo di regalarci la prima delle scene di sesso già illustrate.
E i contenuti? I contenuti son lontani da me che li devo contenere. Quello che inscena il Pedro (che al di là delle pessime muse e musi di cui ama ultimamente circondarsi – Ah, Carmen Maura, Victoria Abril…. Donde estan?) è un vivere che non mi appartiene e nel quale non mi so più riconoscere. E’ lontano, sollevato da terra, arroccato in clichè snob che personalmente comincio a trovare un po’ antipatici. Gira sempre bene, ma con una storia come quella di questi abbracci che non ha lo spessore delle altre storie, è un girare che diventa anch’esso di maniera, la maniera Pedrosa.
Restituisco quindi la domanda di prepensionamento del regista in questione, proponendo in alternativa la riduzione di un quinto dello stipendio per scarsa produttività, fino a data da destinarsi.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Mi-ti-co!! ;))
Commenta