Regia di Bruno Mattei vedi scheda film
Kubrick ha i primati. Hitchcock gli uccelli. Romero gli zombi. Mattei i ratti. Nasce da una suggestione e da una necessità Rats, caso unico, mosca bianca che si posa sul lato B del cinema italiano ma che, proprio per la sua peculiarità fatica a trovare una collocazione, unaclassificazione e tantomeno una etichetta capace di definirlo e di catalogarlo. Una suggestione appunto, che trova radice nell’estro creativo di Bruno Mattei. Il quale, leggendo il romanzo tratto da “Night of the living dead” e avendo in testa il modello archetipico romeriano sostituisce, in collaborazione con Claudio Fragasso, cui si potrebbe conferire il 50% della paternità del progetto, gli emaciati morti viventi con innumerevoli e ributtanti colonie di ratti famelici sprovvisti del concetto di sazietà. 2015: Un conflitto nucleare ha completamente azzerato la civiltà e
costretto i sopravvissuti a rifugiarsi nelle cloache del sottosuolo, abitate fino a quel momento da intere famiglie di roditori che, sfrattati, hanno colonizzato quel che l’ecatombe ha risparmiato. Un manipolo di ribelli, spinti dall’indigenza, si rifugia all’interno di uno dei tanti casolari fantasma, assurti ora a dimore per topi bellicosi e affamati di carne viva. Grazie all’impiego dei set che pochi anni prima hanno ospitato l’epopea leoniana “C’era una volta in America”, Mattei può fotografare, coadiuvato da Franco Delli
Colli, i fatiscenti stabili come fossero asfissianti labirinti mentali nei quali i protagonisti si agitano alla ricerca di una impossibile via di fuga. Se dal punto di vista creativo lo spunto è quanto mai ingegnoso e anomalo, la necessità, ovvero quella di ambientare l’assunto in un futuro non troppo remoto, si fa virtù e valore aggiunto: siamo nel 1984, anno in cui il filone fantascientifico-distopico, postatomico e post tutto (reso celebre dalle
scorribande di Snake Plissken, ma certamente teorizzato sin dalla metà degli anni ’70) rappresenta una tendenza consolidata e pure redditizia ma, anche, a un passo dall’estinzione. E’ all’interno di questo precario equilibrio che Rats s’insinua, cavalcando la moda senza divenirne assoggettato e sfruttando i cliché declinandoli verso più nobili intenti. Perché Rats, pur con tutte le limitazioni di natura produttiva che gravano sulle sue spalle, lavora egregiamente sui topos che lo tengono in piedi e al contempo li sviluppa, ampliandone le prospettive interpretative attraverso una trasgressiva rivisitazione dei codici e degli stilemi appartenenti al genere cui Rats si rifà. Da un lato il ribaltamento dei caratteri standard, che vogliono la compagine umana minacciata da una fonte esterna: in Rats, Mattei&Fragasso optano per un’inversione dei ruoli, ponendo i partigiani guidati dall’inedito protagonista Ottaviano Dell’Acqua come invasori (seppur inconsapevoli) di un
macrocosmo ormai colonizzato dai voraci roditori; dall’altro la scelta di collocare il narrato in una dimensione prevalentemente/esclusivamente notturna,
decadente, slegata da qualsiasi contesto ambientale, storico e sociale. L’azione si svolge in un nulla indefinito e onirico che può specchiarsi solo con se stesso, dunque non corrispondente a realtà sociali identificabili (come appunto in “Night of the Living Dead” e “1997: Escape from New York”). Dall’altro ancora la (dis)soluzione finale che, lungi dall’apparire dissacratoria, conciliatoria o placidamente disfattista, si accartoccia sotto il peso di uno sconfortante quanto crepuscolare pessimismo. Come giustamente sottolineato da Davide Pulici nel dossier Nocturno al regista dedicato “Mattei va oltre la semplicità anti-razzista di Romero, si affranca dal mondo delle copie e attinge al regno puro delle idee. Lo scoliasta si è elevato al di sopra del classico
che chiosava”. Rats, un modello che da derivativo si pone come originario. Intatto e maldestramente poco considerato. Vedere per credere.
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