Regia di Davide Ferrario vedi scheda film
Questa sarà una recensione un pò particolare, perchè so già che parlerò poco del film e più d'"altro". E proprio per scompaginare le mie consuetudini, partirò da ciò che di solito colloco verso la fine di questi miei scritti. E cioè il riportare le critiche negative colte in giro per poi appoggiarle oppure confutarle. In qualche forum sparso per la rete ho raccolto l'accusa di essere un "film ciellino". Ora, definire tale un film solo perchè vi appaiono un prete e una suora oppure perchè il film affronta (benchè non seriosamente) temi filosofico-religiosi, beh, mi pare denoti un'intelligenza critica piuttosto carente. Anzi, il senso del film sta proprio agli antipodi dei dogmi che costituiscono il Cielle-pensiero. Una giovane regista dell'Est viene convocata in un carcere torinese per organizzare una recita-spettacolo in occasione della Pasqua, che sarà animata da tutti i detenuti, a ciascuno dei quali verrà affidato un ruolo legato alla Bibbia. Fin qui nulla di nuovo: iniziative artistiche di questo genere investono ormai gran parte delle nostre carceri. Ma nel nostro caso l'interessante sta nell'evoluzione del movimentato percorso della preparazione di questo spettacolo. Il parroco del carcere, supportato da una suora integralista ai massimi livelli, vorrebbe che lo spettacolo fosse tradizionale ma nel contempo "frizzante", suggestivo in senso conservatore ma anche moderno nella forma...insomma è uno di quei parroci che si sentono "giovani e moderni" magari solo perchè osano qualche ritocco alla tradizione ma guidati sempre da un fastidioso imprinting paternalistico. Mi tornano alla mente certi giovani preti della mia adolescenza i quali si "vendevano" come rivoluzionari solo perchè organizzavano negli oratori proiezioni di "Jesus Christ Superstar", insomma iniziative del tutto innocue che servivano poi solo per "catturare" fra i giovani dei nuovi adepti. Ora, a questa visione finto-moderna del sacerdote, se ne va affiancando un'altra in chiave decisamente più innovativa portata avanti dalla giovane regista Irena. La scintilla che accende il fuoco ha origine dal fatto che non si riesce a trovare nessun detenuto disposto ad impersonare Giuda. Da qui, in progressione, si arriverà a mettere in discussione tante certezze e tante abitudini consolidate in ambito religioso. Con l'obiettivo di arrivare a spogliare una celebrazione-spettacolo della Passione dei suoi dogmi e dei suoi inespugnabili "misteri" di Fede, sostituendoli con una rappresentazione sostanzialmente LAICA. E in quest'ottica è chiaro che Giuda non riveste più alcuna importanza e la ricerca di chi lo interpreterà si configura come un falso problema. Spero di non offendere la sensibilità di nessuno, se affermo che, personalmente, oggi più che mai sento intorno a me uno spaventoso bisogno di LAICITA', anche considerando le pesanti influenze (per non dire "ingerenze") delle Autorità religiose che si riscontrano anche quando si dibatte di problemi etici o politici. Dunque questo è il tema principale affrontato dal film, seppure coi toni leggeri della commedia. Ma la pellicola non si ferma qui, e va a toccare un nervo decisamente scoperto, che forse è il tema dei temi per quanto riguarda l'essenza del pensiero cattolico. Vediamo di "leggerlo" attraverso il film. I detenuti, nel corso di quel work in progress che è la preparazione dello spettacolo, finiscono col definire i termini di un loro reale "senso della vita", con la nuova consapevolezza che esso diverge non poco da quello che la tradizione religiosa ha delineato e deciso per loro (e per tutti noi!). Qual'è il principio cardine su cui si basa la visione cattolica delle nostre esistenze? Semplice. Esso si potrebbe sintetizzare in una frase fatta:"Siamo Nati Per Soffrire". Ecco! Proprio questo è il punto nevralgico, la posizione che Irena e i suoi amici detenuti finiscono, con gioia, per (letteralmente) ribaltare. Il guaio, quello che ci fotte, e che fotte i detenuti del film, è che tutti noi nasciamo col Peccato Originale e per tutta la vita ci tocca 'sta sfiga di stare a testa bassa, sennò quell'onta non si laverà mai (in questo senso, attenendoci al linguaggio del carcere, ci dovremmo sentire tutti un pò ergastolani!...). Ma, scusate, che vita è quella in cui
uno dovrebbe cercare sempre la strada che implica più dolore e più sofferenza?? Insomma l'equazione che dovrebbe guidare le nostre misere esistenze è la seguente: VITA = SACRIFICIO.
E guai a chi osa dissentire. La regista Irena e i suoi detenuti, nella catarsi finale, arrivano invece alla conclusione che agita le notti di superconservatori e bigotti: e cioè che la vita semplicemente dev'essere RICERCA DELLA FELICITA' ...E NON DELLA SOFFERENZA!. E' chiaro che le nostre vite contemplano anche fasi dolorose, ma un conto è subirle, altro è cercarle come chiave o come concetto-guida. Insomma la vera Rivoluzione scaturisce dalla consapevolezza che SIAMO NATI PER ESSERE FELICI ...e non siamo affatto "nati per soffrire"!! Il che, mi pare evidente, fa a pugni con l'essenza stessa del pensiero cattolico. Tant'è vero che quando questo concetto rivoluzionario dilaga fra i detenuti, il parroco, allarmatissimo, fa di tutto per bloccare la rappresentazione. Tutti questi temi "pesanti" vengono messi in scena da Ferrario con sorprendente piacevolezza e leggerezza, rivelando un'operazione finissima e di grande intelligenza, supportata da un cast simpatico e molto coinvolto. Che dire di Kasia Smutniak? Solo che è diventata bravissima (complimenti per l'accento italiano, un accento che le varie Moniche Belllucci se lo sognano!!!!). E quanto sia bella come donna è perfino pleonastico sottolinearlo. Nel ruolo del direttore del carcere che la corteggia troviamo Fabio Troiano, un attore che non ho mai apprezzato più di tanto ma che qui non sfigura. La Littizzetto invece, è poco più di uno "special guest", appare per pochi minuti, e peraltro senza lasciare grandi tracce. Dato il particolare sfondo della vicenda, si registra un doppio approccio del regista alla materia trattata e la scommessa vinta da Ferrario è proprio quella di aver saputo mantenere un equilibrio tra l'aspetto documentaristico (i volti e i pensieri, entrambi molto autentici, dei detenuti) e quello di fiction (a cui la bravura della Smutniak dà forza e consistenza). In mezzo a questi due stili espressivi, si rende ampiamente riconoscibile quell'umanesimo laico che è, da sempre, il filo rosso che lega tutta la produzione di Davide Ferrario. E che lo colloca fra le migliori risorse del cinema italiano. Il sottotitolo del film è "commedia con musica". Tralasciando l'importanza della musica nella carriera di Ferrario (argomento che approfondirò qualche riga più avanti), anche in quest'opera essa è presente in modo massiccio. A parte l'immagine di una Smutniak che (bella come una madonna) suona la fisarmonica, va segnalato che la colonna sonora è affidata a Fabio Barovero dei Mau Mau e ai Marlene Kuntz, il cui cantante Cristiano Godano ha qui anche un ruolo di rilievo come attore. Fra gli autori musicali (e pure lui con una parte nel film) appare anche Cecco Signa, un ragazzo modenese che qui in Emilia è già un volto notissimo a chi frequenta i rock-club della regione, soprattutto in veste di dj. Infine, non può essere casuale che la Società di produzione di Ferrario si chiami "Rossofuoco" che, guarda caso, è anche il nome del gruppo che accompagna Giorgio Canali nei concerti dal vivo. E adesso occhio, che arriva l'angolo dei sentimenti. Quello che vorrei cercare di far capire è ciò che mi lega ad un signore che non ho mai conosciuto personalmente ma verso il quale provo affetto e devozione. Davide Ferrario non immagina (anzi diciamo pure che non gliene potrebbe fregar di meno) quanto abbia contribuito a lasciare un segno incancellabile in un periodo della mia vita collocabile intorno all'anno 1995. Chiamatemi pure un sentimentale, ma io non trattengo la commozione se penso al 25 aprile del 1995, a quello di cui fui testimone quel pomeriggio, sotto un cielo plumbeo che minacciava pioggia, in un verdissimo campo alla periferia di Correggio. Eravamo in tanti, tutti eccitati, tutti felici di condividere il nostro entusiasmo con chiunque ci camminava accanto, eravamo colorati e bellissimi, avevamo dei sogni, avevamo la musica nelle orecchie e nel cuore. A questo punto devo una spiegazione a coloro che non sanno di cosa sto parlando. In occasione del 50esimo anniversario della Liberazione, su iniziativa del Consorzio Produttori Indipendenti, 18 fra i migliori gruppi rock & reggae italiani (e anche uno francese "gemellato") incisero un disco chiamato "MATERIALE RESISTENTE", un memorabile tributo a celebri canzoni della Resistenza. Ebbene, alla presenza di tutti quei gruppi, fu organizzato a Correggio un leggendario concerto sia per presentare "live" il contenuto del disco ma soprattutto per celebrare quello storico anniversario. Quel pomeriggio, su quel prato in festa, fra le nostre seimila anime c'erano anche tre troupe guidate da Guido Chiesa e da DAVIDE FERRARIO, che da quelle immagini trassero un film destinato a diventare un documento storico in ambito antifascista. Non ho idea del grado di reperibilità, oggi, di quel DVD ma, vi prego, cercatelo in ogni modo. E quando lo avrete fra le mani, o quando ne leggerete notizie su internet, tenete presente che Davide Ferrario ne fu il regista, colui che fermò quelle immagini che celebravano finalmente la Resistenza senza retorica e l'antifascismo inteso più come sentimento che come pratica politica. E non ho finito, il bello viene adesso. Alla fine dei titoli di coda di "Tutta colpa di Giuda", proprio in fondo, Ferrario ha voluto che apparisse una frase: "A CIASCUNO SECONDO I SUOI BISOGNI, DA CIASCUNO SECONDO LE SUE POSSIBILITA'". E leggendola, di nuovo, mi sono commosso. E mi piace coltivare l'idea che io e Ferrario non siamo rimasti da soli a pensare che questo non è il migliore dei mondi possibili.
Voto: 10
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta