Regia di Marlen Khutsiyev vedi scheda film
Un incontro sentimentale tra due mondi, che non hanno nulla in comune se non l’amore per la poesia: grezza, per l’operaio, che esprime la passione con una rude e calorosa invadenza, e delicata per l’insegnante, che la sublima attraverso i canoni estetici della disciplina letteraria. Un mélo “di regime”, se vogliamo, e per un duplice motivo. In primo luogo l’opera ripropone, in questa caratterizzazione dei due protagonisti, l’identificazione – tipica della cinematografia di Boris Barnet – di ogni individuo con il proprio ruolo all’interno della società. In secondo luogo, l’abbraccio finale tra due persone così diverse per estrazione, suggella la fondamentale uguaglianza tra gli uomini, sancita dal comune impegno nel lavoro: è così che la colata incandescente della fonderia può esercitare lo stesso fascino di una sinfonia di Rachmaninov o di una lirica di Puškin. La canzone popolare, che è il tema musicale dominante del film, realizza un’ideale fusione tra il contesto industriale e quello artistico, declinando in melodia la “cultura” dei lavoratori, che non è il risultato dello studio scolastico, ma è comunque il frutto di una saggezza e di una sensibilità maturate dall’esperienza della vita attiva e condivisa. “Primavera in via Zarechnaya” è la celebrazione di uno senso di identità ed appartenenza che, in un piccolo villaggio, lontano dalla città e quindi dalle reboanti manifestazioni dello stalinismo, si nutre, in maniera semplice, sincera e spontanea, soltanto di vicinanza e di convivialità.
L’obiettivo di Marlen Khutsiyev ama le scene corali, gli spazi chiusi ed affollati (il taxi, l’aula, la sala da ballo), quasi a voler sottolineare - oltre all’intimità che, in una comunità ristretta, prontamente scaturisce tra estranei – la straordinaria ricchezza interiore di un mondo piccolo e disagiato.
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