Regia di Gustaf Molander vedi scheda film
La vita è un susseguirsi di eventi senza senso, fino a che finisce. Oppure fino a che una soluzione inaspettata si propone, realizzandosi materialmente nella venuta al mondo di una nuova vita, che trova la sua ragione d’essere nel ciclico rigenerarsi dell’umanità. C’è davvero tutto Bergman in questa sceneggiatura del Maestro svedese messa in scena con efficacia da Molander; ci sono il mistero della vita e l’incombente presenza della morte, ci sono l’infanzia traumatica e la vecchiaia affannata e pensierosa; c’è la questione religiosa (un Dio che non si manifesta che senso può avere?), quella morale (la diversità della bambina cieca, l’adulterio, l’omicidio passionale) ed il discorso sulla complessità dell’amore, sempre sospeso fra passione e ragione, sentimenti forti e riflessioni esistenziali che si abbracciano per tutto il film. Decisamente impegnativo e psicanaliticamente profondissimo, come le migliori opere di Bergman (comunque già passato dietro la macchina da presa) poi saranno. Il finale è di una intensità difficilmente eguagliabile.
Bo è un marinaio che torna a casa, nel paesino di origine. Riaffiorano i ricordi dell’infanzia, uno su tutti il trauma vissuto a 12 anni, quando causò senza volere la morte di una bambina cieca. Il ragazzo trova lavoro come trombettista e sposa Eva, con la quale va a vivere su un’isola in cui vive solo l’anziano Johanson. Un giorno Bo e Johanson trovano il cadavere di un ragazzo, soldato tedesco, sulla riva; ricompare impetuoso il trauma infantile di Bo. Ma la vita pare improvvisamente assumere un significato quando Eva dà alla luce il loro figlio.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta