Regia di Gustaf Molander vedi scheda film
Bo (Birger Malmsten), marinaio in licenza, è in viaggio verso casa dopo due anni di servizio militare: "Stavo tornando a casa da mamma, papà, Frida e dalla mia sorellina più piccola, Lena: aveva 7 anni l'ultima volta che la vidi. E quanto più assaporavo il mondo della mia infanzia, tanto più perdevo il senso della vita di adesso. All'inizio è un peso sempre più forte nel cuore e poi si trasforma in qualcos'altro: un'ombra dietro di me, che cresce scura quanto più mi avvicino, un'ombra di cui non posso liberarmi e che mi ha tormentato da quando avevo 12 anni". Durante il viaggio in treno, infatti, la gioia per l'imminente ricongiungimento con i suoi cari si mescola con i ricordi ossessivi di un episodio della sua giovinezza, quando, dopo un litigio con il padre capostazione, fuggì di casa. Salì su un vagone merci e si aggregò a una famiglia di suonatori e cantanti austriaci, facendo amicizia con la piccola Marthe (Anne Carlsson), una bambina cieca, e accompagnandoli in giro per la Svezia. Quando Marthe gli rivelò di essere infelice della sua vita, Bo le propose di fuggire e tornare a casa insieme a lui: saliti su una locomotiva guidata dallo stesso Bo, però, Marthe morì a causa di un tragico incidente. Quel trauma non ha mai cessato di tormentare Bo: adesso, però, giunto a destinazione, è tempo di festeggiamenti. Riceve, infatti, la gioiosa accoglienza dei suoi familiari: e c'è anche un'altra persona da riabbracciare, la sua amata Eva (Eva Stiberg), che corre immediatamente a salutare. La vista del nonno di Eva, gravemente malato, sollecita, però, ulteriormente l'inquietudine e le paure di Bo e solo i baci della ragazza riescono a rallegrare il suo umore:
"La temi ancora la vicinanza della morte?".
"È terribile. È come un'ombra che è dietro di te, si avvinghia a tutto e lo stritola. Tutto ciò che vive deve morire".
"Forse andremo in un altro posto".
"Io non ci credo, non credo in Dio".
"Allora è difficile credere anche nel resto".
"Di solito non è così, ma da quando avevo 12 anni... dopo quello che è successo... Da allora ho odiato la morte e ne ho avuto paura".
Il loro amore, nonostante il fuoco della passione stia già divampando, dovrà, però, attendere: dopo qualche giorno, infatti, la licenza di Bo è terminata. Tornato a Stoccolma, alloggia in una stanza nell'abitazione dell'amico Göran (Stig Olin), insieme al quale suona la tromba in una jazz band, e della sua compagna, la disinibita Susanne (Eva Dahlbeck). Ma la vita dissoluta della città finisce soltanto per peggiorare il suo stato d'animo e, quando Eva viene a trovarlo, Bo non ha più alcun dubbio: decidono di partire insieme, si sposano e si trasferiscono in una fattoria su un'isoletta per iniziare una nuova vita. E la paura della morte si annulla all'annuncio di una nascita: Eva, infatti, è incinta.
Il modesto ma inaspettato successo di pubblico conseguito con Musica nel buio, consentì a Bergman di ottenere la fiducia della Svensk Filmindustri, che nel 1948 prima gli commissionò due sceneggiature per Gustaf Molander (il precedente La furia del peccato e questo Eva) e poi gli affidò la regia di Città portuale. Per Eva, Bergman adatta insieme allo stesso Molander un suo soggetto originale: dalla loro collaborazione nasce un dramma psicologico incisivo e di straordinaria raffinatezza stilistica, in cui l'eleganza della messinscena e della composizione delle inquadrature, le sottigliezze e le estremizzazioni dei contrasti, l'attenzione ai caratteri e alle psicologie dei personaggi, la brillantezza dei guizzi umoristici, le fulminee esplosioni del dramma, l'intorbidimento delle passioni, le parentesi più liriche e i simbolismi della narrazione, si fondono armoniosamente nella leggerezza di sguardo dei suoi autori. Nonostante le evoluzioni drammaturgiche della vicenda, seppur congegnate suggestivamente nella loro progressione di ellissi temporali e negli incastri di flashback e flashforward, soffrano eccessivamente alcune ingenuità dello script, il film riesce, poi, a non farsi apprezzare soltanto come ritratto d'ambiente o per i suoi pregi formali, ma anche per la convincente messa a fuoco di gran parte delle tematiche più vitali della carriera cinematografica di Bergman: la paura della morte, l'amore e il sesso, la religione ("Dio ha abbandonato l'umanità. Credo che sia morto. Tutto va avanti senza senso finchè non finisce"), la dissoluzione morale (Göran e Susanne) e la critica al materialismo, l'infanzia, l'educazione e il rapporto tra genitori e figli, la guerra (il cadavere del giovane soldato tedesco), la fuga dalla civiltà e l'isolamento nella natura. Magnifica la fotografia del grande Åke Dahlqvist e splendido il cast d'interpreti, capeggiato da una sfrenata e irresistibile Eva Dahlbeck, alla sua seconda collaborazione con Molander dopo Il boia di Brandebold (1942) e al suo primo incontro con Bergman.
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