Regia di Hitoshi Matsumoto vedi scheda film
Daisato è un comune uomo giapponese: parola della moglie, da cui è separato e dalla quale attende di divorziare, e parola della figlia, che lo vede solo una volta al mese senza però sentirne la mancanza.
Daisato ha un gatto, ma se un giorno decidesse di andar via non ne farebbe un dramma, perché tutti, secondo lui, dovrebbero sentirsi liberi e selvaggi.
Daisato vive solo (col gatto) e senza amici in una catapecchia nella periferia di Tokio, deturpata da orrende scritte sui muri e presa a bersaglio delle sassate dei vicini.
Daisato porta sempre con sé un ombrello, perché quando ne ha bisogno diventa più grande.
Daisato mangia sempre alghe secche, perché nell'acqua diventano più grandi.
Daisato ne farebbe volentieri a meno, ma anche lui ogni tanto diventa più grande: gli succede quando, collegato a dei cavi nella centrale elettrica, riceve delle scariche che lo trasformano in un gigante alto 30 metri. E come a lui succedeva a suo padre (che però esagerando con la corrente c'è rimasto stecchito), a suo nonno (che a furia di scosse s'è fritto il cervello e adesso vegeta in un ospizio tentando la fuga ogni notte in ricordo dei giorni belli), e ad altri prima di loro per altre quattro generazioni.
Daisato è noto al pubblico come Big Man Japan, e quando raggiunge la massima espansione c'è sempre una telecamera pronta a filmarlo mentre combatte contro mostri grossi su per giù quanto lui, occupati a divellere palazzi abbattere ponti e calpestare automobili: per difendere la patria, certo, ma anche per la differita televisiva (in onda ormai ad orari sempre più proibitivi), e per gli sponsor che ha dipinti sul petto e sulla schiena, nella speranza che tutto ciò gli basti ancora per sopravvivere alla crisi dell'industria che negli ultimi anni ha causato il crollo dell'audience e quello dei suoi profitti, riducendolo alle soglie dell'indigenza.
Daisato è un mediocre, un aspirante signor nessuno, un individuo senza qualità toccato da un dono che egli vive come una condanna, ma che in passato ha fatto la fortuna sociale ed economica dei suoi antenati, riveriti da stuoli di servitori devoti e fedeli, ed onorati dallo stato e dalla gente con tanto di bandiere acclamazioni parate e passerelle. Altri tempi, altre storie.
Daisato è l'erede di una stirpe di eletti, ma è caduto in disgrazia perché di mostri non ce ne sono quasi più, e perché il pubblico, bulimico e vaccinato, ha già visto tutto e se ne frega dei suoi goffi combattimenti. E di certo la sua inettitudine e la sua viltà non lo aiutano a risollevarsi.
Con una pettinatura effervescente, scegliendo per divisa un paio di mutande viola e per arma un manganello neanche troppo proporzionato alla sua mastodontica stazza, Daisato diventa Big Man Japan e sfida i pochi mostri rimasti in circolazione: c'è quello con il riporto ai capelli e il corpo a molla, c'è il gigantesco pollo senza testa ma con l'occhio molto lungo, c'è il fiore dal volto umano che emette peti giallo peste. Pachidermico e sgraziato, Daisato li combatte per dovere: ma ogni sconfitta è un'umiliazione, e ogni vittoria frutto di circostanze fortunate.
Scritto diretto ed interpretato da Hitoshi Matsumoto, una vera celebrità in patria dove, in coppia con Masatoshi Hamada, costituisce dagli anni 80 il duo comico dei Downtown, Big Man Japan è il suo esordio (da regista) cinematografico: un oggetto curioso ed unico che sotto la forma malleabile del mockumentary presenta un omaggio obliquo a tutta quella fantascienza giapponese popolata da mostri e supereroi, servendosi di trucchi ed effetti visivi volutamente buffi e cartooneschi, ma scegliendo come tema portante lo squallore della quotidianità ed il dramma dell'abbandono vissuti dal protagonista (disprezzato da tutti, familiari compresi), del quale propone un ritratto malinconico riflessivo ed intimista su cui ben si stagliano i dialoghi carichi del personalissimo (non)sense of humor dell'autore.
Ludicamente introspettivo e sottilmente sgangherato, Big Man Japan è il testamento immaginario e molto poco serio di un supereroe per caso. C'è di che divertirsi, per chi sa stare al gioco.
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