Regia di Pupi Avati vedi scheda film
Che cosa faccia Pupi Avati tra un film e l’altro non è un mistero. L’ennesimo film, naturalmente. Di registro diverso magari, rispetto a quello immediatamente precedente, ma pur sempre nelle sue corde. Bologna è nelle strade, nelle facciate dei palazzi, come nel recente Il papà di Giovanna, ma Gli amici del Bar Margherita è purtroppo film di tutt’altro tono. Più vicino a Ma quando arrivano le ragazze?, ovvero il capoluogo emiliano, la musica (firmata dall’amico Lucio Dalla), l’amicizia virile e le buone maniere. In sintesi: Bep non si presenta al suo matrimonio per inseguire un’entraîneuse di nome Marcella, Gian vorrebbe cantare a Sanremo, Manuelo è un ladro ossessionato dalle donne, Zanchi s’è inventato la cravatta con l’elastico. E Sarti, giorno e notte nel suo smoking, vende cerate per preti ma è campione di ballo. Alzata la saracinesca del Bar Margherita di Via Saragozza, Avati scova un popolino di mediocri che tra lasagne e puttane rievocano in un eccesso autoreferenziale la propria infanzia. Ci pensa Taddeo, alter ego sedicenne, a mettere insieme questi campioni di innocenza. Modelli da osservare da una finestra (la stessa, o quasi, che fu di Avati), da raggiungere a ogni costo, con qualsiasi stratagemma. Anche inventarsi autista di Al, il più carismatico di tutti, chiave d’accesso a questo mondo. Nonostante il regista si sia portato dietro attori di famiglia (Diego Abatantuono, Neri Marcorè, Katia Ricciarelli) e parenti appena acquisiti (come Luigi Lo Cascio, Fabio De Luigi e Laura Chiatti), il risultato è davvero modesto. Una commediola semplice semplice, su cui pesa una voce narrante invasiva, punto di vista di un romanzo omonimo e fresco di stampa. Se ci fosse stata una trama, sarebbe stata genuina come una torta fatta in casa, peccato che il prolifico Avati si limiti a piccole situazioni che hanno per protagonisti personaggi eccentrici appena abbozzati. Personalissima esperienza umana che questa volta non lascia alcun segno, strappa solo qualche risata.
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