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Gli amici del bar Margherita

Regia di Pupi Avati vedi scheda film

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La recensione su Gli amici del bar Margherita

di LorCio
6 stelle

Prendi la Bologna spensierata (e idealizzata) degli anni cinquanta, mettila in un bar tipico che rappresenta un mondo che non c’è più se non nei ricordi di pochi e pedina le piccole disavventure dei suoi abitanti. Che non sia il miglior film di Pupi Avati è indiscutibile. È uno di quei filmetti facili facili, all’acqua di rose, senza tante pretese. Ma Gli amici del Bar Margherita ha un suo perché, piccolo piccolo come piccola piccola è tutta l’operina dell’infanticabile (ma qua e là ripetitivo) Avati: mette in scena la vita delle piccole cose, che siano persone o situazioni, luoghi o periodi, in un’atmosfera esteticamente quasi gozzaniana ma che di Gozzano rifiuta il crepuscolarismo. Lo si può notare soprattutto nell’illustrazione (l’autore bolognese è innanzitutto un buon illustratore, uno degli ultimi ed involontari naturalisti in circolazione) della vita familiare, con la matrona Kationa Ricciarelli che si fa un mazzo tanto per mandare avanti la famigliola nella casina piccolo-borghese.

 

E poi c’è di mezzo un sentimento elaborato in maniera tutt’altro che banale: l’amicizia maschia, che non è quella dei “ti voglio bene” ma quella delle spavalderie spaccone ed inattaccabili (incarnate da Diego Abatantuono), delle perversioni erotiche represse (ossia Luigi Lo Cascio nel ruolo più insolito e spiritoso della sua carriera), delle timidezze di chi non ha il coraggio di osare (personificate da Neri Marcorè), delle prese per il culo (di cui la vittima più eclatante è il povero aspirante cantante Fabio De Luigi). Probabilmente non racconta nemmeno di un’amicizia: nella sua sostanza pura è un classico raccontino di formazione provinciale che vive più di miti che di amici (l’Al di Abatantuono è il mito del protagonista, non il suo amico come viene presentato). Ma tra le sue banalità rassicuranti, la sua mancanza di ambizioni, il suo vivere con modestia, il film funziona. Lucio Dalla, nel finale, canta l’atto d’amore alla città, vera protagonista del cinema avatiano.

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