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Gli amici del bar Margherita

Regia di Pupi Avati vedi scheda film

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La recensione su Gli amici del bar Margherita

di scandoniano
2 stelle

Ho un amico, si chiama Franz: gli piacciono le ragazze e il vino, forse non in quest’ordine. L’altro amico, Daniele, è un trottolino che ha una parlantina e una faccia tosta invidiabile. Poi c’è Enzo, chiuso e arguto. E Nicola: berlusconiano nell’animo e tanto filosofo. Infine c’è Mario, con una cultura ed un savoir faire invidiabili. Mi chiedo, posso farci su un film?
La domanda vorrei girarla a Pupi Avati, che dopo i successi di “Regalo di Natale” fino ad arrivare a “La seconda notte di nozze”, crede d’aver accumulato tanto credito da poter propinare ai nemmeno tanto ignari avventori del cinema, prodotti senza né capo né coda. “Gli amici del bar Margherita” è una storia che fa acqua da tutte le parti: sono tante storielle di varia umanità che hanno come punto d’incontro un bar bolognese. Mentalità felliniana e metodo narrativo alla Germi: con questi due modus e con una storiella bologna-centrica, Avati crede di poter campare di rendita. Ma sinceramente credo che qualsiasi spettatore, anche il più disposto e preparato al modus operandi di Avati, esca dalla sala con l’amaro in bocca, per le incongruenze riscontrate nel film.
Al di là della problematica di fondo di tutti i film “corali” (mi viene in mente “Compagni di Scuola”, ma anche “Parenti Serpenti”), ossia la provenienza geografica troppo disparata che si ripercuote in una Babele linguistica (nella fattispecie Abatantuono è milanese, Lo Cascio è siciliano, Giustini fiorentino e via dicendo), qui Avati rincara l’impalpabilità delle vicende attraverso l’avallo ad una scrittura decisamente approssimativa che abbozza tutti i personaggi senza definirli mai appieno.
Sicuramente questo film è un tassello importante nella filmografia avatiana, ma, cinematograficamente, il film è di una tristezza allucinante, perché vuol far ridere con espedienti di vita vissuta (da altri), che non fanno scattare (e non possono farlo) le corde più intime ed emozionali degli spettatori. Per tornare all’inizio della presente stroncatura, diciamo che se faccio il film di cui all’incipit e nel bel mezzo del film Franz tira fuori dei salatini dalla tasca della giacca, a ridere siamo solo io, Daniele, Enzo, Nicola e Mario. Ma è anche normale che sia così…

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