Regia di Pupi Avati vedi scheda film
Dopo "Il papà di Giovanna" e quest'ultimo film sto rivedendo la mia opinione fortemente critica nei confronti di Pupi Avati e del suo cinema. Come già ebbi modo di spiegare in sede di recensione del suo film precedente, purtroppo mi mancano le visioni degli esordi horror del regista, che peraltro non credo siano di facile reperibilità a livello di documento video. Ricordo però con piacere il cultissimo "La casa dalle finestre che ridono" e anche il relativamente recente "Il nascondiglio", sebbene quest'ultima opera fosse alquanto imperfetta. Ma l'Avati noto al pubblico più vasto non è certo quello gotico-horror bensì quello che racconta la sua città attraverso le proprie esperienze giovanili. E qui c'è da dire che questa sua scelta ha avuto modo di esprimersi non sempre allo stesso livello, fra alti e bassi artistici. Io ero tra coloro che a un certo punto si erano stufati di questo suo ossessivo "amarcord". Poi, con "Giovanna" qualcosa è cambiato, forse anche per l'indubbia buona qualità di quel film...e insomma mi sono riavvicinato senza pregiudizi al cineasta bolognese. Probabilmente "Gli amici del bar Margherita" non è destinato ad essere ricordato fra le opere più incisive di Avati, ma resta comunque una pellicola divertente e godibile, ben più che dignitosa. Lui lo dice piuttosto chiaramente ad ogni intervista, che il rapporto con la sua città è stato ridimensionato da tutta una serie di motivi sulla cui controversa consistenza non è questa la sede per dibattere, anche perchè è indubbio che nel cuore di Pupi alberga oggi un accentuato sentimento di delusione. L'Avati che aveva -sorprendendoci in parecchi- rimesso mano alla sua vena horror con "Il nascondiglio" aveva forse mostrato come il suo approccio a quel genere, dopo anni di altre frequentazioni, apparisse vagamente "arrugginito". E dunque, oggi, il miglior Avati è ancora quello che ricorda nostalgicamente i tipi, le macchiette, i personaggi della Bologna di un tempo. Ora, io mi rendo conto che questo stile possa apparire a qualcuno "folkloristico" o perfino patetico, ma io che condivido con Avati le origini emiliane -e dunque conosco bene la materia- posso garantire che Pupi è in grado di raccontare al cinema "quella" Bologna come nessun altro ed in questo è un vero Maestro. E ancora, da bolognese (seppur della provincia) passo sopra a certe ingenue caricature macchiettistiche insistite proprio perchè posso assicurare che la Bologna "d'epoca" riesce ancor oggi (nonostante i mutamenti radicali e addirittura epocali sopraggiunti) a far percepire il suo profumo a chi percorre le strade più antiche dei quartieri storici della città. Ecco, io non vorrei certo apparire come un vecchietto "da bocciofila" o "da ballo liscio", ma intendo qui affermare che anche il più "tecnologico" dei bolognesi di ultima generazione, davanti ad un bel piatto di tortellini o di tagliatelle al ragù, magari gustato in una trattoria del Pratello, riesce ad avvertire in qualche modo la "presenza" di un passato che nessuna diavolerìa digitale riuscirà mai a sopprimere del tutto. Tuttavia nel film una cosa che mi rende perplesso c'è e che forse (chissà) potrebbe essere ricondotta al mutato rapporto del regista verso la Bologna di oggi. Mi sto riferendo alla scelta di girare quasi tutto il film...a Cuneo!!! Mah. Questa è una cosa che mi sono legato al dito: ovvio che "quel" bar oggi non esiste più e che la città è tutta un'altra, ma realizzare a Cuneo un film su Bologna è una roba che non sta in cielo nè in terra. Il campionario di personaggi e varia umanità che frequenta il bar Margherita è talmente vasto ed assortito che è un'impresa ricordarli qui tutti. Cercherò di evocare solo le figure principali o quelle più interessanti. Tutte calate comunque su uno sfondo che, chi non è bolognese, difficilmente potrà riuscire a recepire nel suo sapore autentico. Sono presenti inoltre dettagli che, seppur sicuramente volgari, esprimono una mentalità popolare piuttosto ben radicata ed autentica, come quando si vedono passare veloci dei tizi che gridano "Abbasso i busoni!!". Si badi che questi frequentatori del bar sono tutt'altro che dei "santini", anzi si tratta spesso di personaggi meschini, del tutto privi di qualsiasi nobiltà letteraria, e non hanno neppure il fascino patetico dei vitelloni felliniani, forse sono solo -come si dice proprio a Bologna- "un branco di sfigati". Eppure costoro animano un teatrino provinciale efficacissimo, creando punte di effetto comico che colpiscono nel segno. Dunque, abbiamo appurato che trattasi di un' umanità di bighelloni "senza qualità" e tanto, ma tanto, misogini. Cominciamo da un ragazzino che tutti chiamano "Coso" e che chiaramente rappresenta l'alter ego (io-narrante) dello stesso Avati. Questo giovane attore ha una faccia straordinaria che, accompagnata da un accento esageratamente caricato, produce un effetto quasi irresistibile. Poi da segnalare Al, il più carismatico tra i clienti del bar (un Abatantuono piuttosto standard, ordinario, senza nessun picco particolare di bravura). Neri Marcorè rappresenta ottimamente un ragazzo imbranato molto naif, e con la fissa dei numeri. Poi abbiamo un Gianni Ippoliti in un ruolo irrilevante e la cui presenza come attore (anche considerando che di solito appare in altre vesti) ci sembra incomprensibile. Ruolo sacrificato per quello che è a mio avviso uno dei fantasisti-intrattenitori (comico è troppo limitativo) più bravi d'Italia, il bolognese Bob Messini, artista decisamente sottovalutato. Ma il personaggio che in assoluto sorprende di più è un incontenibile Luigi Lo Cascio, che qui ritroviamo in una veste totalmente inedita. Mai visto un Lo Cascio così. A onor del vero, c'è stato anche chi lo ha definito "imbarazzante" e addirittura "straziante" (in senso negativo), giudicando tremenda questa sua singolare performance: per quanto mi riguarda, al contrario, ho apprezzato questo suo inedito sforzo che io definirei "camaleontico". Dimenticatevi il Lo Cascio drammatico, sempre corrucciato e pensoso: qui interpreta un piccolo ladruncolo siciliano che vive di espedienti ed è dotato di una grottesca tendenza all'erotomanìa. Impossibile trattenere le risate quando, in macchina con Laura Chiatti, quasi spogliandola con gli occhi, le sussurra assatanato "Sono linfomane, una malattia incurabbbile!". Tra tutti questi personaggi, pur nella loro ingenua incoscienza, serpeggia una crudeltà cinica che si esplica in "montature" (si va ben oltre il semplice scherzo) tanto drammaticamente beffarde da evocare i toni della tragedia, pur rimanendo nel contesto della commedia amichevole. Un barista che si sente profondamente umiliato perchè ne viene reiteratamente storpiato in senso spregiativo il nome di battesimo. Un povero cristo che viene illuso di esser stato invitato al Festival di Sanremo e che quando si accorgerà della bufala vedrà crollarsi il mondo addosso. Un imbranato totale ai limiti dell'autismo, cui viene fatto credere che una entreneuse da night-club si sia innamorata di lui e per la quale egli manda a monte perfino l'imminente suo matrimonio, salvo poi veder svanire il tutto in una bolla di sapone. E poi la situazione più surrealmente grottesca, che vede degli adolescenti protagonisti di una festa di compleanno, con il padrone di casa consapevole che nella stanza accanto giace il nonno, spirato da poche ore. Quello di Avati non è il grande affresco di un'epoca, ma l'insieme di tanti piccoli quadretti, che però nella loro perfetta rappresentazione di passioni ed emozioni, riescono a dare dignità quasi letteraria alla materia trattata. Avati, col suo stile unico ed inconfondibile, nel raccontare quel mondo è un Maestro insuperabile che dunque merita il rispetto anche di coloro che (come il sottoscritto) hanno un'idea di Cinema che non sempre coincide con la sua. E adesso due considerazioni conclusive. Una bella e una brutta. La brutta. L'impressione è che questo vorrebbe essere un film corale, ma senza riuscirvi, eccessivamente sfilacciato a tratti il disperdersi in troppe storie individuali di personaggi non tutti interessanti allo stesso livello. La bella. Che Avati è una stella, nel nostro panorama nazionale, destinata a brillare solitaria: nessuno nemmeno ci prova ad imitarlo, perchè ognuno sa che nel suo genere è ineguagliabile. Se però ripenso che quella che si vede sullo schermo in realtà è Cuneo, non posso, NEL MIO PICCOLO, non arrabbiarmi un pò. (Chi ha visto il film capirà perchè l'ho scritto maiuscolo!).
Voto: 8
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