Regia di Roberto Burchielli vedi scheda film
È solo logico che nell’Italia d’oggi un discorso sulla diffusione della droga tra i giovani si trasformi in apologia della polizia che bracca piccoli spacciatori e consumatori. E che a nessuno salti in mente che «se segui la droga trovi i tossici e gli spacciatori, se segui il denaro, non sai quello che trovi» (The Wire). Ma anche questo è indicativo dell’ideologia che regge Sbirri. Il film di Burchielli, che ambirebbe al cinéma vérité, bracca Raoul Bova, reporter d’assalto alle prese con il dolore per la morte del figlio, al lavoro per strada sulla via della droga a Milano. Ciò che trova, ma che vorrebbe spacciare come una rivelazione, è un discorso emergenziale obsoleto: gli spacciatori sono africani e le droghe fanno male. Di antiproibizionismo neanche a parlarne. Malafede o superficialità? Diciamo che Burchielli, “nel suo piccolo”, inebriato dal voyeurismo urbano non ha capito granché. Che fine ha fatto in Italia il coraggio di Amore tossico? E sorvoliamo sull’indigestione di pianti in primo piano e il coup de théâtre alla stazione (telefonatissimo). Condito dal tremendo commento sonoro di Fabrizio Lamberti, Sbirri è un film che evidenzia l’isolamento culturale del nostro cinema dal resto del mondo.
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