Regia di Greg Mottola vedi scheda film
Ripresosi dalla sbornia demenziale di “Superbad” e finalmente memore di un capodopera come “The daytrippers”, capace di imporlo nel panorama del cinema indie, Greg Mottola realizza la sua opera più personale, raccontando le vicende di James Brennan (Jesse Eisenberg), costretto a lavorare nel parco dei divertimenti di Adventureland per potersi pagare la retta dell’università che dovrà frequentare al termine dell’estate. La scelta forzata si rivela ben presto una palestra di vita, dove il protagonista sperimenta gioie e delusioni di un adolescenza fin lì condizionata dal bigottismo dell’ambiente familiare e da un idealismo che gli preclude i piaceri del gentil sesso. Un educazione sentimentale che si concretizza nella relazione con la giovane Em Lewin ( Kristen Stewart), la ragazza problematica di cui James si innamora, ed attraversata da un gruppo di coetanei che rappresentano con la loro individualità il panorama emotivo di un intera generazione. Intessendo la storia con motivi autobiografici (la città di Pittusburg è la stessa in cui il regista ha trascorso parte della giovinezza mentre l’elemento ebraico, enfatizzato dalle solite madri ingombranti e da padri senza qualità appartengono per natura al Dna dell’autore) Mottola realizza un “amarcord” in cui le caratteristiche della commedia giovanilistica ed a tratti anche demenziale, soprattutto per quanto riguarda i personaggi di contorno (il nevrotico datore di lavoro o l’amico che si diverte a molestarlo) vengono stemperate dalla storicizzazione della vicenda, ambientata nel 1987, e dal realismo con cui il regista descrive le incomprensioni e l’incomunicabilità che da sempre contraddistinguono le esistenze sospese tra un presente insoddisfacente ed un futuro ancora da costruire. Una aspetto presente anche nelle immagini, notturne e dai colori leggermente sfocati quelle riferibili alla vicenda amorosa, sgargianti e movimentate quelle del divertimento e dell’ironia, a cui Mottola fa corrispondere una duplicità di sguardo, che fluttua continuamente dalla visione idealizzata di Em, guardata attraverso gli occhi del protagonista, a quella diretta ed un po’ sarcastica che accompagna le apparizioni della sua rivale, la mitica Lisa P, una ragazza tutte curve e niente cervello che è il simbolo del disimpegno dell’epoca reganiana ed insieme il contraltare femminile da cui prendere le distanze (la scena di ballo che la congeda dagli spettatori rappresenta una specie di giudizio nei suoi confronti). Se poi aggiungiamo la bellezza di una colonna sonora (dal Lou Reed di “The satellite of love”a Bowie ed i Cure) che interagisce con la storia, collocandola in un alone di nostalgia derivante dall’irriproducibilità di melodie così famose, è impossibile non parteggiare in maniera sfacciata per un film che riesce a sorprendere senza essere ruffiano.
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