Regia di Woody Allen vedi scheda film
Coppie divise, tradimenti, la mancanza di senso dell'universo e della vita. Bisogna accontentarsi di pochissimo, di rovistare nel marasma della vita per qualcosina che funzioni in qualche modo, e dia un piccolo piacere o un istante di felicità.
Nonostante vi si trovi tutto Woody Allen - anche se in versione piuttosto cinica - non mi sembra un'opera completamente riuscita, di quelle che si guardano con gusto. Secondo me dialoghi e situazioni non hanno la stessa incisività e genialità che in altri suoi film.
Il protagonista dunque è - superfluo precisarlo - l'alter ego del regista. E' un para-nevrotico, ossessionato dal pensiero della morte, delle malattie, e da quello di Dio, la cui esistenza pure nega con decisione. Un altro ambito della vita su cui si arrovella spesso è l'amore e la coppia: nonostante i suoi desideri e aspirazioni, è giunto alla conclusione che l'amore sia praticamente destinato a fallire e a finire. Dentro di lui c'è però ancora una vocina flebile che si ribella a questa convinzione, ed è questo forse il motivo per cui accetta, benché tra mille ritegni, di iniziare una nuova relazione. L'amore in generale sembra essere un teatrino senza senso, in cui le pedine si scambiano di posto, le persone cambiano da così a così, dove si tradisce con facilità, non si sa neppure quello che si vuole, e dove non vale più nemmeno il presupposto della coppia a due. Alla fine, anche se apparentemente tutto sembra sistemarsi e tutti trovare il loro posto, rimane in bocca una sensazione amara, perché non è in realtà così: l'entropia è eretta a ordine, nulla è definitivo, tutto è uguale e nulla ha senso. In questa pellicola il pessimismo del regista è molto pesante e insistito, quasi da sfiorare il nichilismo. Lo sfiora solo, perché la testarda ribellione del protagonista verso i mali e gli orrori che succedono nel mondo impedisce il nichilismo vero e prorpio.
Nei personaggi dei genitori della ragazza, oltre a rappresentare due individui fondamentalmente stupidi e qualunquisi, il regista si prende beffe del cattolicesimo e dei suoi principi. Nella sua lunga carriera lo ha fatto pià volte, dando quindi mostra di non smettere mai di pensarci. Lo stesso si può dire della fede ebraica della sua famiglia d'origine, e l'idea di Dio che gli fu insegnata nell'infanzia.
Per il resto, ho ravvisato nel film elementi di "Broadway Danny Rose" e "Manhattan", quelli sì capolavori.
Larry David non funziona del tutto; trovo la sua recitazione non troppo espressiva e calata nella parte. Nota di merito, invece, per Evan Rachel Wood, che convince nella parte della ragazza svampita e spregiudicata. I genitori, invece, sono solo macchiette o tipi senza incisività.
Beninteso, si guarda volentieri, ma la genialità di Allen questa volta è rimasta nel cassetto.
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