Regia di Woody Allen vedi scheda film
Perché oppone il fisico alla fisica, usando l’invettiva come arma contro l’insipienza dei vidioti, e la misantropia come resistenza all’orrore del mondo. Per la battuta «Dio è gay». Perché, per Boris, chi ti ama non è (più) il compagno idealizzato di gioventù, ma chi aspetta con te all’ospedale se hai le crisi di panico. Per il titolo: una regola di vita, al di là di tutta la psicanalisi inflitta a sé e agli altri, in una vita e in una carriera. Perché Patricia Clarkson e Ed Begley Jr. sono attori stupendi di mezza età, e se non fosse per Allen e pochi altri li vedremmo solo in Six Feet Under. Perché pare un film testamento, e mai come quando si è vicini alla morte si è così spudoratamente autoassolutori. Per la captatio benevolentiae, lo sguardo in macchina e la domanda «perché vi dovrebbe interessare la mia storia?». Perché Boris è un vecchio rincoglionito, paranoico, insopportabile e narciso, ma dice verità scomode. Perché Allen non ci prende più per i fondelli con una delle sue operine pro loco (nel senso di sponsorizzate dall’ufficio del turismo locale: ci siamo dimenticati l’orrore di Vicky Cristina Barcelona?). Perché con un tentato suicidio innesca, in contemporanea, riso e paura.
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