Regia di Yojiro Takita vedi scheda film
Si muovono eleganti e precise le dita di Daigo sui corpi inerti che prepara per l’aldilà; dita esperte e attente, passate senza preavviso dagli spartiti alle dipartite. Neoimpiegato presso l’agenzia funebre NK, il violoncellista rimasto senza orchestra trova una platea più affezionata nei parenti dei cari estinti che si prodiga a preparare per “l’ultimo viaggio”: una cerimonia che ha i ritmi confortanti del rituale e funge da balsamo dell’anima per chi assiste, ma anche per chi la conduce. Come l’anziano e laconico capo dell’agenzia (i cui pasti, da quando è morta la moglie, sono «tristemente buoni»), Daigo esorcizza le paure con il nuovo mestiere e si scopre abile nel maneggiare i cadaveri quanto e più che nel far vibrare le corde del violoncello. Ridere della morte è un esercizio liberatorio per dissacrare l’aura inesorabile che ammanta la nostra natura terrena; ben venga allora il tocco lieve e ironico di Departures, che infrange il tabù e fin dall’incipit fa dirompere nella solennità della cerimonia funebre la carica irriverente del grottesco. Non soltanto si ride, nel film straniero vincitore dell’Oscar nel 2009; Yojiro Takita si giostra fra tempi (e volti) strettamente comici e le ampie panoramiche del dolore e del rimpianto. L’autore, legato a una sterminata produzione di pinku eiga (i softcore erotici giapponesi), passa qui dal rituale del sesso a quello della vestizione funebre, con la disinvoltura di chi è abituato a occuparsi di corpi e porzioni di pelle scoperta; conosce i confini del pudore e il peso specifico delle membra affidate alle mani di altri. I movimenti con cui Daigo si adopera per pulire, vestire e truccare i defunti incantano come un gioco di prestigio e compiono il miracolo della vera catarsi; nell’armonia riprodotta dalle spoglie irrigidite si consuma l’addio dei familiari alla persona amata, che lascia libero corso alle emozioni. Come nella toccante sequenza finale, la morte funge da messa a fuoco dei sentimenti, da lente attraverso cui rivedere la propria vita e trovare un senso dove pareva non esserci.
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