Regia di Raffaello Matarazzo vedi scheda film
Un uomo sposato, con una figlia piccola, salva dal suicidio una ragazza. Fra i due nasce un legame sentimentale che, molto presto, arriva alle orecchie della moglie di lui, che minaccia di lasciarlo. L’uomo, diviso fra le due donne, non riesce a scegliere.
Amore mio è un film, fin dal titolo, destinato a passare inosservato: promette banalità e già visto, e mantiene quanto promette. Si tratta dell’ultima regia di Raffaello Matarazzo, incontrastato re del genere melodrammatico, ormai da anni messo nel dimenticatoio da pubblico e critica, che gioca la carta del ‘revival’ fuori tempo pur di ritornare alla ribalta. Gli andrà purtroppo malissimo, e questo nonostante Amore mio sia una pellicola assolutamente dignitosa nella fattura e negli argomenti; non verrà però distribuita in maniera adeguata, né conseguentemente vista dal grande pubblico, generando ulteriore sconforto nel regista (e sceneggiatore), che morirà un paio di anni dopo, a neppure 57 anni, di infarto. Certo, l’operazione può apparire oggi insensata: quest’opera alla sala del 1964 – abituata ormai a tutt’altro genere di film – dice realmente poco, e in effetti anche se paragonata con i precedenti drammi di Matarazzo non regge il confronto. Ma la storia, pur nella sua scarsa originalità, è retta da una struttura narrativa sufficientemente solida e a conferirle il giusto appeal ci pensano gli azzeccati interpreti: Antonella Lualdi, Eleonora Brown, Paul Guers, Didi Perego e Luciana Angiolillo sono i principali, con ruoli marginali anche per noti caratteristi come Aldo Bufi Landi e Attilio Dottesio. Il mestiere non si discute (e in tal senso va sottolineata anche la colonna sonora di Carlo Cavina), ma Amore mio è un lavoro che arriva nel momento sbagliato: troppo tardi per la continuità con il filone melodrammatico del dopoguerra, troppo presto per la rivalutazione (che, puntualmente, arriverà nei decenni successivi). 4/10.
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