Regia di Michael Mann vedi scheda film
1933: Dillinger imperversa, il neonato FBI sotto la guida di Hoover si organizza per catturarlo. Gangster movie solido, classico (fin dal titolo, che richiama quello di Wellman), con tutti gli ingredienti previsti: sparatorie, inseguimenti, rapine, evasioni; il che, però, spalmato per due ore abbondanti, finisce per risultare un po’ ripetitivo. È una guerra sporca, in cui vince il peggiore e non si parteggia per nessuno: non certo per Hoover, untuoso, vanesio e abile propagandista di sé. Mann non dimentica di aver diretto Heat, anzi se ne ricorda fin troppo bene: anche qui c’è la lotta senza quartiere fra il criminale Johnny Depp e lo sbirro Christian Bale (ma è più interessante lo sceriffo texano arrivato a dare man forte: è lui a intuire che, dovendo scegliere fra Manhattan melodrama e un film con Shirley Temple, Dillinger andrà a vedere il primo) e anche qui c’è l’ultimo messaggio inviato a una donna (le parole “bye bye blackbird” pronunciate prima di morire: lì bastava uno sguardo). Il punto più debole è proprio il personaggio di Marion Cotillard, guardarobiera diventata pupa del gangster: Dillinger se ne innamora perdutamente subito dopo averla conosciuta come se non avesse mai visto una donna in vita sua e accetta di affrontare qualunque rischio per lei (per fare qualche confronto, la Penelope Ann Miller di Carlito’s way o la Robin Wright di Stato di grazia hanno ben altro spessore). Meritavano di essere approfonditi anche certi aspetti, quali l’aura alla Robin Hood di cui godeva Dillinger: l’unica scena che la giustifica è quella in cui dice a un cliente della banca di non volere i suoi soldi, ma quelli della banca. Un film potabile, ma nulla per cui si debba gridare al capolavoro.
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