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In the Name of the King

Regia di Uwe Boll vedi scheda film

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La recensione su In the Name of the King

di PompiereFI
6 stelle

Farmer è un contadino ostinato e infaticabile che lavora la terra nella contea di Stonebridge durante il Medioevo. Orgoglioso, trascorre felice il suo tempo con la famiglia composta dalla bella moglie Solana e il giovane figlio Zeph. Sfortunatamente la sua quiete viene turbata dall’arrivo dei Krug, cani trasformati in energumeni facinorosi e decerebrati da una magia. L’infido stregone a capo di questa insurrezione che ha lo scopo di insidiare la vita del Re è Gallian.

Farmer riuscirà, con l’aiuto di amici, familiari, maghi ed eserciti a mettersi presto sulle sue tracce…


Tratto dal videogioco “Dungeon Siege” del 2002, “In the name of the king” è un adattamento cinematografico pertinente che non va oltre il mero divertissement  e un approccio disimpegnato. Il film riserva anche qualche sorpresa e appassiona con la narrazione e la spettacolarità dell’azione a dispetto della più classica storia e dell’ambientazione fantasy nel quale è confinato.

Abbiamo l’impressione che il regista Uwe Boll non sia poi così sterile come vogliono farci credere le poche considerazioni che la sua carriera cinematografica ha avuto fino a qui. Abile nel dirigere contemporaneamente due piani narrativi differenti e sovrapposti, riesce ad approfittare di qualsivoglia escamotage di racconto appena interessante. Il montaggio che lo affianca in questo lavoro non è certo fortuito. Tutto ciò ha un effetto positivo perché fa aumentare l’attenzione a ciò che si sta assistendo grazie anche a inquadrature efficienti.

Si fa un abbondante uso anche di sana autoironia (che scaturisce dal fatto di realizzare consapevolmente un film di serie B) e di sense of humour che contraddistinguono quasi tutte le sequenze. L’impegno del regista tedesco viene accolto e goduto con un incanto un po’ perverso e un desiderio quasi morboso. Un carisma che ha d’altronde coinvolto anche alcuni attori non proprio ultimi arrivati: il cast è formato infatti da Jason Statham nei panni di Farmer, Ron Perlman (ce lo ricordiamo tutti nel ruolo dell’eretico Salvatore ne “Il nome della rosa”) nella parte di Norick il confidente di Farmer, Ray Liotta che da vita al perfido incantatore Gallian e da Burt Reynolds, il Re Konreid.

Questo dispiego di attori non ha impedito al film la candidatura ai Razzie Awards nelle categorie di Peggior Regista (nella quale ha sbaragliato i concorrenti, vincendo il premio), Peggior Film e Peggior Attore Non Protagonista (in verità, un ingessato e un po’ ridicolo Burt Reynolds).

Non si riesce a capire il perché di tanto accanimento nei confronti di un regista tutto sommato onesto nei suoi propositi e di un film che rimane un’avventura apprezzabile che ha saputo creare uno stuzzicante mix di azione e momenti magici. 

Alcuni contenuti e certe idee sono stati ripresi da “Il Signore degli anelli”, vedi la richiesta di aiuto rivolta a un esercito di creature malvagie e decisamente brutte che nascono da officine sotterranee e le panoramiche ariose a svelare gli ambienti ricostruiti con la computer graphic. Il potente esercito di creature spietate così concepite è mascherato alla bell’e meglio, non senza un gusto un po’ kitsch e dozzinale; evidentemente con il trucco e i costumi a disposizione non si è avuto voglia di lavorare più di tanto… Le differenze tra le due produzioni comunque sono ovvie, una su tutte la fonte letteraria ispiratrice delle due pellicole: di spessore quella a disposizione di Peter Jackson, semplicemente “giocattolona” quella a favore di Boll.

Da non perdere anche le amazzoni/tarzan in gonnella che abitano tra gli alberi incantati della foresta, burlesco richiamo alle eroine avventurose protagoniste di certo cinema demodé risalente a 30 anni fa. Nonostante sia costato ben 60 milioni di dollari (ed è un peccato che non riuscirà a recuperarli tutti) “In the name of the king” è stato un flop internazionale da noi uscito con un anno di ritardo.

Jason Statham si conferma un attore commercialmente promettente pronto a diventare una nuova icona dell’action movie. Qui, in un ruolo un po’ tormentato, senza padre ne’ Dio, eroe solitario e coraggioso che combatte per nobili ideali, ha un animo incorruttibile. Come uomo è decisamente affascinante, molto maschile e perciò degno erede di Bruce Willis.

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