Regia di Uwe Boll vedi scheda film
Uwe Boll ha fama piuttosto consolidata di essere uno dei peggiori registi viventi sulla faccia della Terra. Una volta me lo scrisse anche Marcello Del Campo e pellicole come "Far Cry" ed "Alone in the dark" sono lì inequivocabilmente a confermarcelo e ricordarcelo ad infinitum. Ossessionato dalle trasposizioni su grande schermo di videogiochi nemmeno troppo memorabili, il nostro regista tedesco non ne imbrocca una nemmeno sotto tortura. "In the name of the king" ne è l'ennesima riprova. Un presunto colossal fantasy dal cast altisonante che si risolve ben presto in una tanto involontaria quanto patetica caricatura Jacksoniana. La vicenda del "fattore" protagonista del film richiama infatti le gesta del prode Aragorn, fra i protagonisti dell'indimenticabile saga tolkieniana, ivi compresa l'inaspettata incoronazione a re quando in realtà il suo unico scopo era quello di ricongiungersi con l'amata metà rapita da un perfido stregone. Trama elementare per un girato "d'asilo" se mi si può passare la battuta scolastica. Già, perché nonostante il budget sia meno contenuta del solito, il film di Boll annovera una messa in scena colma di difetti di montaggio e di riprese inutili che esasperano le infinite e noiosissime sequenze di battaglia dando una sensazione di riciclo veramente imbarazzante. Aggiungiamoci un protagonista totalmente privo d'ironia, un circondario di comprimari poco convinti e convincenti (Perlman, Liotta, Reynolds e Lillard tutt'altro che al loro meglio), una colonna sonora metal spesso e volentieri fuori posto ed ecco che il pasticcio è servito. Indigesto, senza alcun'ombra di dubbio.
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