Regia di Gerald McMorrow vedi scheda film
Un uomo mascherato, in un futuro oscuro ed oppresso da un eccesso di fedi, cerca un “individuo” per ucciderlo; un anziano custode di chiesa è alla disperata ricerca del figlio scomparso; un ragazzo gentile e romantico viene lasciato dalla sua donna (quasi) sull’altare e si rifugia nel passato; una ragazza porta all’estremo la sua professione di videoartista, cercando di esteriorizzare i suoi contorti rapporti con i propri familiari.
La teoria di storie parallele che ci introduce nel mondo di Franklyn è spiazzante, i personaggi si sfiorano in maniera apparentemente casuale e le situazioni ci appaiono slegate e prive di punti di riferimento da seguire; ci si concentra, quindi, sull’unica iniziale traccia compiuta, ovvero la ricerca di Jonathan Preest/Ryan Phillippe del suo fantomatico avversario in un mondo distopico da incubo, “Città di Mezzo”, nel quale si è costretti a credere in una fede, qualsiasi essa sia, pena l’incarcerazione ed il ricondizionamento coatto da parte di una inquietante Polizia Religiosa. Londra, sia nella visione futurista che in quella attuale, dove operano gli altri protagonisti della pellicola, risulta un perfetto e chiaroscuro crogiuolo di destini, popolata da reminiscenze orwelliane e gotiche e tratteggiata, alternativamente tra le diverse guide narrative, da linee architettoniche (ed umane) sfumate e grigie o, in contrapposizione, nette e colorate. Il Regista, Gerald Mc Morrow (qui al suo esordio dopo un evidente passato di regista di video e spot pubblicitari), concentra le sue idee migliori nel primo terzo del film, conducendoci, in maniera lieve e lasciando briglia sciolta al suo espressionismo visivo, in un coacervo sentimentale apparentemente inestricabile, con dialoghi ridotti all’essenziale e lunghi silenzi; ove ci delude, invece, è nello sviluppo del complesso quadro narrativo accennato nel lungo incipit, risultando datato e non riuscendo a mantenere la giusta tensione narrativa. In questa seconda fase, infatti, si rifugia in una esasperazione smodata delle immagini, introducendo sciatte pulsioni da videoclip musicale e sfiorando, a tratti, l’inutilità infascelliana (le sequenze video-artistiche dell’inquieta Emilia/Eva Green). Un lavoro scorrevole e promettente, comunque, che mi fa ben sperare per i successivi, e speriamo più maturi, lavori del regista inglese.
Apparentemente intricata.
Promettente.
Cattelanesca.
Discreto.
Contorto.
Romantico.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta