Regia di Enrico Oldoini vedi scheda film
Vari episodi, alcuni dei veri e propri flash, altri articolati, uno solo collettivo. La mostruosità è quella dei supercafoni, degli ipocriti, dei rampanti; ma anche i cosiddetti poveracci si dimostrano in realtà dei mostri mancati. Due meridionali speculano sull’ospitalità agli immigrati, una psicanalista euforica e rampante distrugge il paziente già depresso, un funerale riunisce un attore di successo e uno fallito. Naturalmente su tutto il film pesa l’ombra del grande Dino Risi, che negli anni 60 seppe raccontare come l’homo novus dell’Italia del Boom fosse in realtà una vera e propria carogna, e che il sottoproletario tagliato fuori dalla ricchezza non avesse altra ambizione se non quella di raggiungerla. Qui tutto è simile ma anche diverso. I vizi ricorrono, ma non c’è neanche quell’euforia derivata dalla sicurezza apparente dello sviluppo industriale. In tempi di crisi ci si attacca a tutto. Cast all star, con Abatantuono e Bisio sopra tutti gli altri quando si affrontano a colpi di fioretto in un funerale che diventa solo un’occasione di incontro. E se l’omosessualità del figlio continua a essere il problema principale per un “uomo del popolo”, succede anche che un borghese toscano amante del golf e del linguaggio forbito possa madonnare come uno scaricatore alla minima avversità. Non so se c’è un messaggio voluto, ma si ricava l’impressione che la volgarità mediocre e il “riso minore” nel senso che Bataille dava al termine siano il tessuto unificante che ci unisce qui, nel Belpaese sempre più vecchio e incapace di pensare a un futuro. In fin dei conti, è quanto Pasolini aveva già capito quarant’anni fa, al tempo dei primi mostri. Oggi ne viviamo le conseguenze. Comunque si riesce anche a riderci sopra, il che non è poco. E la cattiveria che ci è entrata nella mente come una tossina circola in tutto il film. Quando si farà in futuro un convegno su questi anni, potrà essere proiettato, in doppio programma con Gomorra.
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