Regia di Marco Risi vedi scheda film
La brutta notizia, vecchia di venticinque anni, è che Giancarlo Siani è stato ammazzato dalla Camorra. La buona notizia, molto più fresca, è che Marco Risi non è morto con i suoi ultimi film, alcuni dei quali (Il branco, L’ultimo capodanno, Tre mogli) francamente imbarazzanti. Il figlio di Dino Risi (al quale Fortapàsc è dedicato) torna all’impegno civile ed al vigore cinematografico del Muro di gomma, e lo fa con la storia, purtroppo vera, di un giovane giornalista che non voleva limitarsi a fare il “giornalista-impiegato”, ma voleva realizzare vere inchieste e che firmò la propria condanna a morte quando sottoscrisse articoli nei quali faceva le pulci agli affari della criminalità organizzata ed ai suoi rapporti con le istituzioni. Paradossalmente, prima di occuparsi degli appalti truccati, la sua assicurazione sulla vita era rappresentata dal boss Valentino Gionta (colui che dalla galera darà l’O.K. definitivo all’agguato), che vedeva nel giovane giornalista na-poletano il cantore del proprio potere criminale. Il camorrista, infatti, a differenza del mafioso siciliano (non a caso Provenzano viveva in una frugale baracca), esibisce il proprio potere con regalie, lusso sfrenato e feste ricchissime. Nella Napoli e nella Torre Annunziata ben ricostruite da Risi, è drammaticamente assente lo Stato, degnamente rappresentato soltanto da un valoroso capitano dei Carabinieri, mentre anche il procuratore, anziché un magistrato-magistrato è piuttosto un magistrato-impiegato. Buona la prova di Libero De Rienzo.
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