Regia di Marco Risi vedi scheda film
“Questo non è un paese per giornalisti giornalisti, ma per giornalisti impiegati”. Dura sentenza, quella di Marco Risi, per bocca di Giancarlo Siani, un giornalista che in questi tempi di cambiamento politico avrebbe detto le cose “pane pane e vino al vino”, senza antipasti alcuni, come si è piuttosto soliti leggere, ascoltare e ingoiare in questo nostro paese.
Un sogno, durato tanti anni, quello di Marco Risi, di portare sullo schermo la vicenda del giornalista napoletano ucciso dalla camorra nel 1985 ad appena ventisei anni, ora concretizzatosi in Fortapàsc.
Inevitabili i confronti con Gomorra, ma solo per pochissimi aspetti contenutistici, e con il miglior cinema di denuncia del nostro paese, compresi gli altri importanti lavori di Marco Risi, da Ragazzi fuori a Mery per sempre, passando anche per Il muro, Il branco, ma in Fortpasc c’è anche molto del cinema di Gianni Amelio e di Franco Rosi (Le mani sulla città sembra fortemente citato durante le riprese del Consiglio comunale). Un film importante, perché non solo dà l’opportunità di conoscere la vita straordinaria di un giornalista coraggioso, non utilizzando i panegirici, come si è soliti fare nel nostro paese, ma offre anche l’immagine di una Napoli insolita, in cui anche le sedi giornalistiche, da quella del Mattino, alla periferia, e quella in città, conservano gli odori di sigarette, i rumori delle Olivetti e le migliaia di pagine sbiadite o volutamente annerite.
Il film ricostruisce gli ultimi quattro mesi di vita dell’intraprendente Giancarlo Siani, reporter d’assalto abusivo de Il Mattino, che da Torre Annunziata aveva pubblicato un articolo coraggioso sull’arresto del boss Valentino Gionta, rivelando scottanti retroscena nella guerra di cosche che in quegli anni imperversava in quei territori. Lo scoop gli vale la promozione da precario di provincia a giornalista con suo ufficio e scrivania nella redazione di Napoli, mosso da tanta passione per la verità e con quel pizzico di incoscienza di chi si trova a mettere il naso in affari più grandi di lui.
Molto interessante anche la scelta del cast, sebbene due accorgimenti non sembrano inopportuni: Libero De Rienzo è bravissimo nell’essere timido, ma non è convincente nell’interpretazione della testardaggine che apparteneva al vero Siani. Non saremmo rimasti dispiaciuti se al suo posto ci fosse stato Luigi Locascio. Assolutamente inespressiva e fortemente ‘mocciana’, come sempre, l’interpretazione della Lodovini. A differenza di tutti i comprimari: dall’impareggiabile Ennio Fantastichini, corrottamente bravo nel personaggio del sindaco di Castellamare, a Massimiliano Gallo, sebbene questi faccia troppo l’occhiolino a Gandolfini (Soprano).
Strepitosa la scelta musicale nel film. Nell’anno in cui Vasco Rossi scrisse il gran successo di “Ogni volta”, Siani ne cantava spesso le strofe, anche con la propria vita, autoaccusandosi di “ogni volta che era stato coerente”, ma il giornalista ventiseienne cantava spesso anche: "Non vi fermate, dovete costruire la vostra torre di Babele, si deve fare e serve a dimostrare che l’uomo è superiore ad ogni altro animale" di Bennato. Era una canzone che negli anni Ottanta non lasciava molto spazio ai finti cantanti di "Amici", ma lasciava anch’essa il modo e il tempo di pensare, sebbene standosene sotto la doccia o facendosi la barba.
Tanti i motivi per cui questo film importante merita di essere visto da molti, compresi coloro che sono a favore della forza della pistola (le ronde, la polizia, i controlli, ecc.) o della macchina da scrivere. Quest’ultima, un’arma ancora più potente, per niente a salve, se utilizzata al modo di un giornalista coraggioso e coerente come Giancarlo Siani.
Giancarlo Visitilli
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