Regia di João Botelho vedi scheda film
Opera varia ma disarticolata, come un murales dipinto a secchiate di vernice. Il contenuto filosofico cui allude il titolo – un’indecifrabile fusione di libero arbitrio e predestinazione – rimane, un po’ negletto, in secondo piano, in una pellicola che invece propone, più che altro, un esperimento di vivisezione in diretta della stessa sostanza filmica. L’io narrante è l’anonimo artefice del racconto, che spiega allo spettatore le proprie scelte di sceneggiatura, accompagnandolo in un percorso frammentato in cui i vari piani narrativi si intersecano in ordine sparso; tuttavia, l’apparente casualità sembra voler celare una studiata volontà di interrompere, sospendere, lasciar andare. La materia è una grezza mescolanza di situazioni in cui i personaggi si incontrano e si raccontano, oppure vedono altri agire e perciò li giudicano. E questa, in fondo, è una lezione esemplificativa della scrittura cinematografica: sul grande schermo, le conversazioni non sono, come nella nostra realtà, semplici commenti alle piccole azioni quotidiane, bensì sono l’espediente artistico con cui l’autore costruisce i ricordi del passato, i pensieri del presente, i sogni del futuro e crea quindi, in definitiva, il terreno in cui far crescere e vivere il senso di una storia. “O fatalista” ha l’aria di un’opera volutamente incompiuta ed irrisolta, la cui struttura si offre nuda all’analisi di natura tecnica, e il cui contenuto è un amalgama semilavorato a disposizione della nostra capacità di immaginare.
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