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Frozen River - Fiume di ghiaccio

Regia di Courtney Hunt vedi scheda film

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La recensione su Frozen River - Fiume di ghiaccio

di ROTOTOM
8 stelle

Pensato in origine come cortometraggio e diretto dalla regista esordiente Courtney Hunt, Frozen River è un dramma tutto al femminile  costruito come un thriller nel quale la tensione si palpa morbida e fredda, come la neve.

L’ambiente naturalistico è ritratto in tutta la sua sfavillante desolazione, non c’è nulla di romantico solo tutto è un intoppo, un incedere gobbo dal freddo, la neve che impedisce di avanzare, facce corrose dal gelo e per sfondo un ammasso di case prefabbricate. Prove certe dell’America proletaria confinata ai margini del sempre più morente sogno americano, quello della Grande Nazione dall’ immagine  patinata e vincente spacciata in giro per il mondo.

 Il fiume San Lorenzo è una distesa di ghiaccio senza alcuna nota lieve, serve solo da ponte dal Canada agli Stati Uniti per illusi clandestini cinesi. E’ un confine aperto, pericoloso da attraversare, uno scambio notturno di corpi per denaro, un sottomondo che ha la sua manifestazione speculare nel mondo “civile” quello luminoso del giorno.

Anche Ray è costretta a superare un confine per coronare il sogno di acquistare la casa, per garantire un futuro ai suoi figli. Il confine invisibile che separa le persone nella stessa società, la razza, il pregiudizio. E deve attraversare il fiume di ghiaccio dei rapporti interpersonali che delegano al denaro il solo pretesto per un qualsiasi contatto sociale.

Ray (Melissa Leo) trasporta i clandestini per denaro verso una futura casa nella terra dei sogni, sotto la guida dell’odiata Lila (l’esordiente Misty Upham), nativa indiana mohawk abitante nella riserva. La casa di Ray  arriva trasportata col camion, il suo sogno in itinere pagato in contanti ad un odiato mercante di case e quindi, di sogni.

Questa costruzione dell’intreccio risulta assolutamente riuscito , l’attenzione alla psicologia dei personaggi e alla condizione sociale crea il contesto nel quale matura la storia che è la sublimazione paradossale di una situazione di estremo “bisogno” nel quale piomba la protagonista, necessità che squarcia il pregiudizio e l’avvicina umanamente alla compagna indiana che scopre essere ancora più sola e vulnerabile di quanto non sia lei stessa. Si scioglie il ghiaccio nel fiume e tra le due donne quel punto di fusione segnerà il destino di entrambe.

Costruito sui due personaggi principali, Frozen River è girato per sottrazione, con dialoghi scarni e ben scritti delegando alle immagini dalla fotografia gelida il compito di veicolare le emozioni senza nessun intento patetico o retorico.

Tanti i temi di questa sceneggiatura tenuta in equilibrio dalla rarefazione della messa in scena : la totale assenza dell’uomo nel suo ruolo sociale, l’immigrazione clandestina, il degrado culturale ed economico di alcune zone degli Usa, il rapporto con i figli e il reciproco pregiudizio tra bianchi e nativi mohawk.

Spunti trattati in fior di pennello, tratteggi su sguardi, parole inghiottite a forza, campi lunghi che accentuano la distanza critica tra diritti e realtà. Bellissimo film figlio di della controcultura cinematografica indipendente americana.

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