Regia di Courtney Hunt vedi scheda film
Ci tenevo parecchio a vedere questo piccolissimo film indipendente che, armato solo della forza disperata di ciò che racconta, è riuscito ad arrivare alle soglie della notte degli Oscar, con ben due candidature entrambe stra-meritate (sceneggiatura ed attrice protagonista). Okay, niente Oscar, ma comunque per una regista al debutto non è poi male vedere attribuito alla propria creatura il gran premio della giurìa al Sundance festival, oltre al primo premio del festival di Courmayeur. Dico subito che il film non ha deluso le mie aspettative, però non mi ha entusiasmato del tutto. Certo, sono molte di più le luci rispetto alle ombre, e d'altronde coi pochi mezzi a disposizione dubito che chiunque avrebbe potuto fare di meglio. E proprio qui sta forse il problema. Si tratta di una pellicola evidentemente girata con un budget ridicolo e, nonostante si sia realizzato un piccolo miracolo, questa povertà di mezzi fa sì che l'opera risulti troppo scarna, troppo essenziale, forse troppo poco "spettacolare"...E se si unisce l'essenzialità rigorosa della messa in scena (e, volendo essere critici, anche una certa piattezza registica da imputare all'inesperienza) alla cupa disperazione della vicenda narrata, beh, il risultato vira un pò sul deprimente. Certo, da una storia simile nessuno si aspettava delle gag o battute brillanti, ma in questo modo il rischio è quello di mettere in scena una deriva triste da clichè "vite disperate" che quasi stritola lo spettatore in un abbraccio di mestizia e di autocompiaciuta malinconìa. Io peraltro sto scrivendo queste righe e già mi sento in colpa, perchè in realtà mi sono quasi commosso vedendo scorrere sullo schermo le immagini di queste due "povere criste" una messa peggio dell'altra e che -per giunta- traggono l'essenziale per sopravvivere sfruttando le vite di persone messe molto peggio di loro due. Potevo risparmiarmi parole tipo "clichè" perchè se c'è un aspetto che questo film trasuda da ogni poro è la sincerità e la profonda onestà, sia intellettuale che artistica. Dunque un film trasparente nella sua assoluta credibilità. Solo che a volte -questa la nostra colpevole umanissima verità- non abbiamo voglia di sentirci raccontare storie tristi come questa. Innanzitutto grazie a Courtney Hunt (anche sceneggiatrice, dunque il film è un parto tutto suo...) per averci raccontato (non è la sola, d'accordo, ma sia lodato chiunque ci provi) un'America ai margini, popolata di poveri cristi che, altro che fine del mese, perfino a metà faticano ad arrivare, e che vivono in fatiscenti roulotte sognando una bella casetta prefabbricata; gente che un destino incarognito mette spesso contro ad altra gente ridotta ancor più male in arnese; gente a cui un carico di dignità grande come una montagna ormai non basta più per trovarvi la forza di vivere da umiliati. Insomma, l'antitesi dei fighetti intellettuali e profumati di Manhattan. In particolare abbiamo queste due figure di donne semplicemente splendide, nella loro dignitosissima ostinazione a non darsi per vinte di fronte ad un meccanismo sociale-economico che le vorrebbe ridotte a due stracci. Una è un memorabile ritratto di donna che alleva due figli in condizioni assai precarie, soprattutto dopo che quell'ìnfame di uno stronzo (non saprei come altro definirlo) del marito l'ha piantata in asso per fuggire chissà dove portandosi dietro gli ultimi risparmi per sputtanarseli in qualche "Sala Bingo". L'attrice è una veterana che però finora non aveva mai rivestito ruoli da protagonista. E diciamo subito che col suo bel volto consumato dalla stanchezza, ma comunque un magnifico viso di donna orgogliosa, Melissa Leo ha offerto una performance di quelle indimenticabili, che peraltro le ha fruttato la candidatura all'Oscar. E' toccante vedere questa donna che, nonostante la sua dignità venga offesa ed attaccata in ogni modo, si batte come un leone in nome non solo dei propri figli, ma anche dell'amicizia che si è andata costruendo con un'altra donna ancora più sfortunata di lei. Quest'ultima, a parte la sfortuna (da lei stessa ribadita più volte nel film) di non nascere bianca ma di etnìa "Mohawk", da quando le è stato sottratto il figlio si è rinchiusa in un dolore cupo fatto di silenzio e ringhiosa diffidenza. Sullo sfondo, una zona di frontiera che è un deserto di ghiaccio, posta al confine tra lo Stato di New York e il Canada. Vivere da quelle parti non dev'essere il massimo: certi paesaggi sembrano fatti apposta per rappresentare e suggerire la solitudine e la desolazione che impregnano tutta la vicenda. E queste due donne vedranno incrociarsi i loro destini all'insegna di una deriva cinica e grottesca, che è quella di trarre entrambe sostegno economico sfruttando i miseri destini di poveracci immigrati che esse trasportano dal Canada all'America nascosti nel bagagliaio di un'auto. Ma d'altra parte quella è per entrambe la sola via d'uscita per poter garantire una parvenza di futuro ai rispettivi figli. Una cosa che colpisce è sicuramente l'ambientazione: è innegabile che di solito quando (in cinema o letteratura) sentiamo parlare di immigrati in America il riferimento è ai clandestini provenienti dal Messico e non dal Canada. Occorre sottolineare che lo script (come si è detto firmato dalla stessa regista)
non fa nulla per edulcorare la triste vicenda o per rassicurare lo spettatore angosciato, ma forse è giusto così, è anche un segno di rispetto e di coerenza verso una storia che non prevede dei lieto fine consolatori ma un realismo impietoso. Eppure la regista sembra affidare una ipotesi di soluzione al valore immenso della Maternità, che implica forza, determinazione e passione. Quella catapecchia cadente in cui si pranza a popcorn ed aranciata, è comunque qualcosa di "necessario", che si oppone agli usuali patinati interni borghesi cui il cinema ci ha abituato, perchè è giusto che il Cinema ci mostri anche QUESTO. Cioè un'America del malessere già preesistente, ma a cui la crisi attuale minaccia di inferire il colpo di grazia. Un'America che è un fiume gelido in cui galleggiano (spesso sfiorandosi o addirittura ponendosi in contrasto) vecchi poveri, nuovi poveri, e poverissimi. Un film duro e sofferto che insegna (anche ai cineasti italiani) che con pochissimi mezzi ma con un'idea forte, si può realizzare un prodotto ben più che dignitoso. Concludendo, un film forse troppo cupo e troppo essenziale, ma che ha il pregio di raccontarci una storia sinceramente umana e di definire i contorni di due personaggi femminili difficili da dimenticare.
Voto: 8
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