Regia di Courtney Hunt vedi scheda film
Si tratterebbe solo di capire perché lo si voglia definire un “thriller”. Non c’è niente del thriller, non c’è l’assassino, non c’è la vittima, c’è appena appena un poliziotto che fa cucù dal suo abituale posto di blocco. Non c’è suspense, non c’è niente che mozzi il fiato, a dispetto di quanto recitano la locandina del film e il suo testimonial d’eccezione Quentin Tarantino, anzi è tutto piuttosto noioso. La sceneggiatura che si è meritata (Dio sa come) una nomination agli Oscar (ma Quentin è Dio?) è minimale, telefonata, giocata su pochi scarni registri non troppo originali. Due donne, due vite condite di torti da sopportare e di figli da crescere, costi quel che costi, purchè non costino i buoni sentimenti tutti americani (la scena del bambino pakistano abbandonato/recuperato/resuscitato e riconsegnato su un tappeto di violini è davvero brutta brutta). Tolta la maschera molto “frozen” della brava protagonista, del resto poco o nulla rimane impresso e poco o nulla impressiona, dall’inizio sino al finale che, pur nella sua ricercatezza, poco o nulla trova che non siano le stereotipati condanne delle ingiustizie del mondo moderno verso i poveri diseredati, e i poveri bambini orfani di tutto, persino di Babbo Natale per i più sfortunati di loro che nascono, magari, in una riserva di miscredenti indiani tra gli Usa e il Canada del duemila-e-rotti. Un filmetto di basso budget e di bassa resa, indipendente solo dai circuiti industriali ed economici di Hollywood ma non certo dai circuiti del benpensantismo culturale del cinema “impegnato” americano (quello da centro-sinistra stile accoppiata Sean Penn/Clint Eastwood) che non sa, non ha il coraggio di oltrepassare il limite del disgusto e della sopportazione e si mantiene al di qua della linea, con cristiana sopportazione, accontentandosi di essere buoni ad oltranza e all’infinito, reagendo a colpi di gentil fioretto e di violino alle tragiche sinfonie suonate dai cannoni delle ingiustizie globali. Un film boomerang che a me personalmente ricorda tanto le disavventure di Walter Veltroni e dei suoi “ma anche”. Lo dico sperando di non contagiare e portare sfortuna a Barak Obama.
Voto: 5 meno meno
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta