Regia di Fritz Lang vedi scheda film
Primo film sonoro di Fritz Lang (ed il suo prediletto), uno dei suoi capolavori più intensi e affascinanti, in bilico tra fiammeggiante sperimentalismo e lucido apologo sulla natura del Male, stilisticamente raffinatissimo, ammantato da un'atmosfera di malsana decadenza morale e percorso da una tensione emotiva di insostenibile resa espressiva. Ispirato da un articolo del giornalista Egon Jacobson dedicato a Peter Kürten (il "Vampiro di Düsseldorf") e dalle abominevoli imprese di altri due serial killer, Georg Karl Grossman e Fritz Haarmann (il "Macellaio di Hannover"), rielaborate nella sceneggiatura di Lang e Thea Von Harbou, M - il mostro di Düsseldorf costituisce un magistrale compendio della lezione estetica espressionista riaggiornata agli albori del cinema sonoro, che la superba fotografia del leggendario Fritz Arno Wagner (Destino, Nosferatu il vampiro, Westfront 1918) e le scenografie curate da Edgar G. Ulmer (seppur non accreditato) sotto la supervisione di Emil Hasler e Karl Vollbrecht contribuiscono a ricreare nei toni e nelle sfumature più cupe: le vicende di Hans Beckert (impersonato da uno stratosferico Peter Lorre), psicopatico pluriomicida, che adesca fischiettando le bambine della città prima di stuprarle e ucciderle, ricercato dalla polizia e dalle gang criminali, alleate per stanarlo, vengono trasportate sullo schermo con raggelante realismo, ardite invenzioni visive e sottili finezze drammaturgiche, di cui l'espediente del motivetto musicale fischiettato da Peter Lorre (ma nel doppiaggio sarà lo stesso Lang ad eseguirlo, perchè Lorre non sapeva fischiare), ovvero Nell'antro del re della montagna, dal Peer Gynt di Edvard Grieg, suite composta nel 1876 per accompagnare la rappresentazione teatrale dell'omonimo dramma di Ibsen, costituisce il più fulgido e celebre esempio. In questo suggestivo e fervido connubio tra vecchio e nuovo, muto e sonoro, espressionismo e realismo, dramma sociale ed intimistico orrore, Lang trasferisce le proprie ossessioni cinematografiche inscrivendole in una più ampia disamina sull'ineluttabilità della giustizia legalizzata rispetto a quella privata e proiettandovi le sue angosce nei confronti del Male prossimo venturo che da lì a poco avrebbe squassato l'Europa intera. Un'opera sublime, storicamente imprescindibile e, soprattutto, di una modernità quasi inquietante.
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