Regia di Fritz Lang vedi scheda film
Düsseldorf è presa sotto scacco da un maniaco infanticida imprendibile. La polizia assedia la città disturbando le attività di criminali e barboni che decidono così di farsi giustizia da soli.
Ispirandosi a fatti realmente accaduti nella Germania degli anni ’20 Fritz Lang convoglia il male e i misfatti dei due originari assassini nella figura unica di Hans Beckert interpretato magistralmente da Peter Lorre che riesce ad incarnarne pulsioni e paure già a partire dallo sguardo, allucinato e sconvolto, che lo rappresenta per tutta la durata della pellicola.
Il racconto si svolge attraverso due filoni narrativi: da una parte le azioni del malessere e dall’altra la polizia e il popolo tutto che escogita modi e trappole per catturarlo prima che perpetri ancora il suo orrendo crimine. E se la narrazione relativa al mostro, le cui gesta non vengono mai palesate ma solo lasciate intendere, sia perché la censura in quegli anni era davvero molto aggressiva con le pellicole, sia perché Lang è talmente bravo a creare le condizioni utili per far capire effettivamente cosa sta accadendo. Non ha bisogno di esplicare le deplorevoli azioni ma, per tutto il film, utilizza trucchi e inquadrature, capaci di farci capire esattamente cosa sta accadendo pur senza mostrarlo apertamente.
Uno dei punti chiave di questo film sta proprio in questa caratteristica. La delicatezza di Lang nel narrare fatti abominevoli che seppur mai mostrati creano nello spettatore un senso di disagio perenne che perdura per tutta la visione.
Anche se la parte relativa alle riflessioni di polizia e società sono le più difficili e meno piacevoli da seguire, con lunghe telefonate e sproloqui tra gli addetti ai lavori che potevano anche essere ampiamente ridotti, servono in realtà a farci intendere quanto l’essere umano si crede veramente superiore e non riesce ad ammettere mai l’incapacità di accogliere quantomeno versioni e spiegazioni che vanno oltre il proprio modo di pensare.
Per quanto le azioni perpetrate da M, ho adorato la lettera gessata che viene lasciata sul cappotto del criminale affinché tutti lo possano identificare, non ha potuto non farmi pensare a La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne, siano spregevoli arriva un momento in cui Fritz Lang ha la capacità di ribaltare la situazione e il carnefice si trasforma in vittima, anche agli occhi, increduli, dello spettatore.
Il monologo finale di Peter Lorre, catturato da barboni e malviventi che gli stanno facendo un processo oltre la legge, resterà negli annali della storia del cinema. Non solo per la bravura dell’attore ma anche per ciò che intende esprimere. Una società corrotta e deviata che pretende di giudicare un uomo senza dargli la possibilità di difendersi altro non è se non lo spettro di ciò che verrà e di ciò che, in realtà, è sempre stato.
Una di quelle pellicole da vedere almeno una volta nella vita.
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