Regia di Fritz Lang vedi scheda film
Il primo film sonoro di Fritz Lang è un ibrido perfetto tra sperimentazione e arte, un opera indispensabile per capire il Cinema e la sua storia, per meglio comprendere l’evoluzione del mezzo cinematografico e il suo percorso innovativo.
M è un film imprescindibile perché fotografa il momento del passaggio tra vecchio e nuovo, perché fonde in un unico comparto filmico la potenza visiva del cinema muto con l’avvento delle nuove tecnologie, perché segna il cambiamento, la rivoluzione.
Al di là del discorso tecnico il film di Lang è all’avanguardia anche per i temi scabrosi che affronta, siamo nel 1930 e presentare al pubblico la storia di un maniaco pedofilo e assassino di bambine non era di certo la normalità.
Ispirandosi a fatti di cronaca del tempo (il caso del Vampiro di Dusseldorf Peter Kurten arrestato nel 1930), Lang mette in scena una rappresentazione rigorosa che si sviluppa su almeno due piani distinti, da una parte c’è la linearità del racconto d’inchiesta (quasi da documentario), dall’altro c’è il viaggio nel fantastico, in quella dimensione magica dove albergano sogni ma soprattutto incubi.
Come massimo esponente dell’espressionismo tedesco il regista si mette al servizio di una classica favola gotica, ci presenta in tutto il suo splendore l’immortale figura dell’uomo nero, icona indistruttibile di mai dimenticati incubi fanciulleschi, lo aiuta in questo senso uno straordinario Peter Lorre che delinea alla grande un personaggio molto complesso, disgustoso e tragico allo stesso tempo.
A Dusseldorf un maniaco sessuale fa strage di ragazzine, polizia e delinquenti (preoccupati dei limiti sempre più ristretti imposti dalle forze dell’ordine) si danno da fare per individuare il misterioso assassino.
Grazie ad una copertura quasi totale della città sarà proprio l’organizzazione criminale ad individuare il killer (fondamentali risulteranno i mendicanti), la corda si stringerà lentamente intorno al collo di Franz Becker (Peter Lorre) che rifugiatosi all’interno di un palazzo di uffici verrà alla fine catturato.
Condotto in un posto sicuro sarà processato e condannato a morte dall’élite criminale della città ma...
Uscito nel 1931 il film di Lang non ha mai goduto di vita facile, noi non ci stupiamo affatto considerando l’argomento che affronta e il modo sfacciato in cui lo fa, M è un film palesemente fuori dal tempo, talmente avanti che risulta quasi ovvio l’intervento della censura dell’epoca, per non parlare delle difficoltà riscontrate dal regista durante la lavorazione.
Tra le tante caratteristiche degne di nota quello che fa di M un film unico è la sua impronta profondamente realistica, ci troviamo di fronte ad uno studio quasi scientifico di dinamiche sociali evidenti, la paura, l’intolleranza, la banalità del crimine vengono qui affrontate con sguardo impietoso ma veritiero.
La polizia che indaga senza sosta ma inutilmente, i criminali non più liberi di gestire le loro attività illegali, colpiti ingiustamente da un cane sciolto che non riconoscono ma che anzi vogliono morto, la paura della gente comune, il mostro visto ovunque, il mostro che è chiunque, un nostro vicino di casa, un nostro amico, un vecchietto per la strada.
E poi c’è il Mostro vero, l’invisibilità del male, la normalità del male, il paffuto e all’apparenza innocuo Franz Becker, vittima anche lui di qualcosa che non sa definire ma che è indiscutibilmente dentro di lui, un uomo spaventato che si confessa davanti ai suoi “simili” ma che da questi non viene riconosciuto; perché sono orrendi i suoi crimini o perché non è allineato al sistema?
La visione di Lang su questo tema appare evidente, il regista si schiera contro la pena di morte, contro la giustizia sommaria imposta dall’uomo, delega il compito di questa scelta allo Stato massimo rappresentante dell’ordine, una chiave di lettura discutibile che inserita nel contesto storico del film ci permette di studiarlo anche da un punto di vista politico (siamo in Germania nei primi anni ’30, prossimo è l’avvento del Nazionalsocialismo).
M non è tuttavia un film perfetto, analizzando semplicemente i tempi cinematografici è un opera che forse soffre di qualche lungaggine di troppo (da questo punto di vista gli preferisco Il grande caldo), piccoli difetti che tuttavia non pregiudicano il valore complessivo della pellicola che rimane assoluto punto di riferimento per tutti gli amanti della settima arte.
Perché visivamente è un film dall’impatto devastante, perché alcune sequenze sono semplicemente magnifiche (l’incipit, la fuga di Becker, il processo), perché Peter Lorre tratteggia splendidamente una figura unica e immortale.
Imperdibile.
Voto: 9.5
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