Regia di Philippe Lioret vedi scheda film
Non è solo l'umiliazione subita dal ragazzo a farmi incazzare. E' la tua indifferenza.
Bilal ha 17 anni ed è fuggito dal Kurdistan per andare a Londra. Dopo tre mesi e 4000 km, quando crede di essere ormai arrivato, si accorge che l'ultimo pezzo di strada da Calais al territorio inglese è il più difficile di tutti...
Calais è come tutti gli avamposti di frontiera uno di quei luoghi in cui moltissimi immigrati si accalcano senza volerci davvero restare, ma solo per evitare di essere respinti o espulsi e vedere infranto il loro sogno di un nuovo inizio nella meta che hanno immaginato per la loro vita.
La maggior parte di loro ha in mente di trovare un'esistenza serena e iniziare un lavoro per poter magari aiutare il resto della famiglia rimasto nei luoghi d'origine. Bilal è un ragazzo che assomiglia a tanti di loro, ma le sue motivazioni sono diverse: lui vuole raggiungere la sua innamorata, Mina, che si è ricongiunta al padre a Londra ma aveva lasciato un pezzo di cuore in patria.
Questo mix di entusiasmo giovanile, speranza infinita e amore sognante che il ragazzo incarna si incrocerà con una situazione del tutto opposta, quella di Simon, uomo di mezza età, depresso per il passare del tempo e le delusioni di un matrimonio fallito che sta per certificare con la incombente sentenza di divorzio.
L'incontro di queste due persone avviene in piscina, in cui Simon è istruttore, quando Bilal partorisce il piano di arrivare a Londra nuotando nel canale della Manica e va a prendere lezioni di nuoto.
La sensazione che tutto sia possibile nutrita dal giovane affronta la naturale prudenza tendente al pessimismo cosmico dell'adulto. Comincia un rapporto umano che è tanto più significativo quanto più viene ostacolato dall'esterno: in particolare dall'atteggiamento xenofobo di molta parte della cosiddetta società civile e le leggi anti-immigrazione che in Francia permettono di incriminare chiunque dia un aiuto alla immigrazione clandestina: dove per "aiuto" si intende anche dare un passaggio in macchina o offrire da mangiare agli extra-comunitari (anche da parte delle organizzazioni umanitarie), nell'intento di fare terra bruciata intorno agli immigrati e favorire il loro ritorno a casa.
Da qui anche il titolo del film: quel "benvenuti" che tante persone hanno per esempio scritto sullo zerbino davanti alla porta di casa, ma che in realtà diventa un epiteto involontariamente e amaramente comico dinnanzi al comportamento del cittadino medio di fronte al fenomeno della immigrazione.
Un film molto intenso, che riesce a dipingere con grande acutezza il panorama sociale in cui viviamo, ma - lungi dal voler realizzare un documentario - ci parla di una umanità brulicante fatta di tantissimi giovani angosciati ma col desiderio di vivere e andare avanti di fronte a tutte le difficoltà a contrasto di quella Europa borghese che sta invecchiando e, avvolta nelle sue disperazioni, si chiude in se stessa senza alcuna fiducia nel futuro e nella convivenza.
Finalista al Festival di Berlino, il film è diventato la bandiera dei movimenti che in Francia vorrebbero arrivare a una depenalizzazione per coloro che aiutano i profughi.
Mentre il suo finale, emotivamente intenso, aiuta a riflettere sul cosa siamo diventati.
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